venerdì 6 novembre 2009

E' ATTIVO IL BLOG WWW.194DECIDOIO.IT/WORDPRESS/

Il "Coordinamento 194 decido io", formato dalle seguenti associazioni: UDI, Comitato 194, ass. donne medico, Donne in nero, Arcidonna, GD, Ass. Maddalena, FIMMG, ha aperto un omonimo blog incentrato sulle tematiche della salute sessuale delle donne in Campania.



In particolare, questo nuovo blog, servirà a denunciare casi in cui medici o farmacisti si rifiutano di fornire la ricetta per la PILLOLA DEL GIORNO DOPO che è un farmaco anticoncezionale ampiamente sperimentato e legalmente a disposizione delle donne che ne hanno bisogno, e la cui obiezione del medico o del farmacista a somministrarla è ILLEGITTIMA.

NEGARTI LA PLLOLA E' INFATTI UN ABUSO DA DENUNCIARE.

Il ministero della Sanità (circolare Turco) ha stabilito che la pillola va prescritta e venduta senza alcuna obiezione da chi ne ha il dovere come per ogni altro farmaco. La circolare è tutt’ora indicazione istituzionale.


Ricordandiamo inoltre che, nel fine settimana del 7 e 8 novembre '09 ai tavolini della Luca Coscioni sulla pillola del giorno dopo, nelle cellule di tutta Italia, si è sottoscritta la seguente Petizione:

AL MINISTRO DEL WELFARE

Noi sottoscritti,

- nel ricordare la scelta fatta nel 2006, da parte della Food And Drugs Administration statunitense, di consentire anche negli Usa la vendita in farmacia della pillola del giorno dopo, senza la presentazione della ricetta medica;

- nel ricordare che nella vicina Gran Bretagna la pillola del giorno dopo è distribuita gratuitamente e senza ricetta medica dal Sistema Sanitario Nazionale Britannico da diversi anni; e che nella vicinissima Francia la pillola del giorno dopo è distribuita gratuitamente e senza ricetta per le minorenni anche in farmacia, e a pagamento e senza ricetta in generale da ormai diversi anni;

- ci uniamo alla richiesta della rappresentanza parlamentare radicale d'introdurre anche in Italia la possibilità dell'acquisto della pillola del giorno dopo in farmacia senza ricetta medica, per chiunque in forma anonima e gratuitamente per le minorenni;

- chiediamo quindi al Ministro del Welfare l'abolizione dell'obbligo di ricetta medica per la contraccezione d'emergenza, altrimenti detta pillola del giorno dopo.

Elenco delle città che partecipano alla mobilitazione per abolire la ricetta della pillola del giorno dopo www.lucacoscioni.it/node/5103924

mercoledì 4 novembre 2009

MORFINA PER GLI ABORTI SPONTANEI ALL'OSPEDALE IL PONTE DI VARESE

"io l'anno scorso a Varese, ospedale Il Ponte,ho dovuto fare induzione al parto per morte endouterina alla 17a settimanana. Mi hanno proposto morfina per 4-5 iniezioni e eventualmente epidurale, che però è l'ultima cosa che fanno perchè spesso non serve.(dipende dall'epoca di gestazione). Io ho chiesto solo una volta la morfina ma ero già dilatata di 5cm.Non ho idea in caso di IVG, ma sicuramente penso che possano fare morfina e poi valium.
25 settembre 2009 2.38"

FONTE: commento al post sul Buzzi di Milano

mercoledì 15 luglio 2009

NAPOLI SECONDO POLICLINICO: UN OTTIMO CENTRO FUNZIONANTE PERO' SOLO 3 GIORNI ALLA SETTIMANA

A Napoli le interruzioni volontarie di gravidanza anche dopo i primi 90 giorni di gestazione, fino alla 22esima settimana, si possono effettuare al secondo Policlinico, dove al quinto piano dell'edificio 9, vi è un apposito centro per le I.V.G. in generale. Purtroppo però poichè su 60 ginecologi regolarmente dipendenti dalla struttura, solo 3 (+ 1 che andrà in pensione a fine luglio) sono non obiettori, tali interventi sono praticabili soltanto il giovedì, il venerdì ed il lunedì.
Il suddetto Centro funziona solo come dayhospital; se l'interruzione dopo il 90 esimo giorno va per le lunghe, ci si ritrova a completarla nelle sale travaglio o parto del piano terra, in mezzo agli obiettori di coscienza che nella migliore delle ipotesi ti ignorano e nella peggiore ti maltrattano. Diverso è invece il caso in cui si riesce ad espeletare il tutto all'interno del Centro: il personale composto da ginecologi, ostetriche ed anestesisti è molto umano, attento e gentile. Durante il travaglio è concesso alle pazienti di avere accanto almeno un famigliare ciascuna, e verso la fine di esso si ha diritto alla somministrazione di un analgesico. Appena dopo l'espulsione del feto viene tagliato il cordone e si provvede al raschiamento in anestesia generale.
P.S. Nella sala d'aspetto del centro delle I.V.G. vi sono esposti dei quadri da me donati per distrarre un pò dai brutti pensieri i famigliari che aspettano l'esito dell'interruzione di gravidanza delle loro congiunte.

lunedì 15 giugno 2009

IVG 6 GIORNI SU 7 AL MAGGIORE DI BOLOGNA

"Ciao Laura, ho visto il tuo gruppo qui su FB sono una donna di 35 anni che ha dovuto affrontare un aborto terapeutico alla 19ma settimana di gravidanza. E' successo venerdì scorso...
Volevo solo darti la mia testimonianza positiva sul reparto di ginecologia della maternità dell'ospedale Maggiore di Bologna.
Stanza singola, mio marito sempre con me, medico molto comprensivo (ha avuto anche parole di solidarità che non mi aspettavo) personale che passava ogni ora ora e mezzo a vedere come stavo, ostetrica disponibillissima. Aiuto nel momento dell'espulsione, immediata rimozione del feto e raschiamento poco dopo. Ho aspettato un po' all'ingresso della sala operatoria e il personale veniva a vedere come stavo ogni 15 minuti. A mio marito è stato concesso di rimanere mentre aspettavo anche se ero già in una zona dove non sarebbe potuto entrare.
Questa è la mia esperienza, terribile comunque ma almeno "umana".
Magari può aiutare altre donne che devono decidere dove fare l'IVG.
Io non mi sento di fare outing ora, di partecipare a gruppi... per me è troppo presto. Come immaginerai non è un gran periodo e faccio un po' fatica a stare dietro a tutto. Provo a rispondere alle tue domande.
Allora: io non ho prenotato personalmente nulla per l'IVG ha pensato a tutto il mio ginecologo che è un medico ospedaliero e lavora appunto alla maternità dell'ospedale Maggiore di Bologna.
Il giovedì mattina alle 8.30 ho fatto il colloquio ho espresso la mia decisione dio interrompere la gravidanza e verso le 13.30 mi hanno chiamato per comunicarmi di presentarmi la mattina dopo per il ricovero.
All'interno della maternità ci sono due reparti ostetricia e ginecologia.
Io sono stata ricoverata in ginecologia (stanza singola che viene utilizzata solitamente per gli aborti terapeutici per lasciare un po' di privacy alle donne in un momento tanto delicato).
Non conosco gli orari ma posso dirti che sono stata ricoverata alle 8 del mattino tramite pronto soccorso (ma mi aspettavano e avevano già la mia cartella)
Mi hanno fatto gli esami mi hanno inserito le prime candelette alle 11.30, l'espulsione è avvenuta alle 21.15 e il raschiamento è terminato che erano circa le 23. In tutto questo tempo sono stata assistita dal personale. Dopo il raschiamento mi hanno portato le pillole per evitare la montata lattea e successivamente camomilla e biscotti. Quindi, su mia richiesta, mi hanno aiutato ad andare in bagno (le stanze della maternità hanno tuttte il bagno in camera).
Sono stata qssistita sin dopo mezzanotte.
Poi mi sono addormentata (per fortuna) e non ho più avuto bisogno. L'infermiera è tornata dopo le 6.
Ritengo quindi che ci sia assistenza 24 ore su 24.
Per quanto riguarda le giornate io sono stata dimessa, dopo l'opportuna visita di controllo il sabato mattina.
Inizialmente mi avevano prospettato il ricovero proprio di sabato, quindi ho ragione di ritenere che le IVG vengano fatte tutta la settimana.
Non ne ho però assoluta certezza perché come ti ho detto ha fatto tutto il mio medico.
Non credo di aver avuto un trattamento di favore perché gli infermieri hanno saputo che ero una paziente di quel dottore solamente dopo il raschiamento.
Non so se ha accellerato le pratiche per il ricovero, ma essendoci una sola singola in tutto il reparto (è molto piccolo) non credo che abbiano spostato qualcuno per trovarmi posto.
Nel caso non ne sono a conoscenza.
Se può esserti utile ti lascio il numero del centralino dell'ospedale.
Scusami, non mi sento proprio di chiamare, per me la ferita è ancora aperta
Bologna - Ospedale MAGGIORE
L.go Nigrisoli, 2 ............................................ 051 647 8111
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Ti ringrazione per i consigli.
Sto facendo psicoterapia, mi sono iscritta in palestra.
Grazie per il tuo lavoro.
Un caro saluto"

COME UN OSPEDALE PUO' STRAVOLGERE LO SPIRITO DELLA 194

Gentile professore,
vorrei riprendere con Lei un discorso interrotto sulla necessità della rianimazione forzata sui feti sopravvissuti ad un aborto, senza il consenso dei genitori.
Lei davvero crede che sia opportuno farla sempre e comunque, quale che sia stato il motivo che abbia indotto i genitori a prendere la dolorosa decisione di impedire la vita al proprio desiderato figlio?
Colgo l’occasione per parlarLe di un disgustoso inganno perpretato ai danni di un’altra donna ricoveratasi lo stesso giorno in cui venni ricoverata anch’io presso il centro da Lei diretto, per un aborto “terapeutico”.
Questa giovane donna che io avevo avuto modo di conoscere già durante i due giorni precedenti al nostro ricovero, durante gli accertamenti di rito, aveva preso la decisione di abortire un figlio allo stato embrionale affetto da una patologia che gli aveva impedito la formazione delle ossa della faccia. Il suo ginecologo le aveva detto che tale patologia era incompatibile con la vita e che oltretutto portando avanti la gravidanza il bambino avrebbe sofferto quando il liquido amniotico sarebbe entrato nel viso distruggendone i tessuti. Le risulta quest’ultima informazione?
Quando come ultima tappa ci recammo dallo psichiatra lei poi mi disse di non aver avuto bisogno della perizia psichiatrica per abortire in quanto la patologia del bambino che portava in grembo era incompatibile con la vita. Ed allora che l’avevano mandata a fare dallo psichiatra? Per ricevere una preparazione psicologica all’aborto, quale non fu giudicato opportuno fornire anche a me nonostante il mio, su di un feto, fosse più traumatico?
Riassumendo quindi Cristina, la giovane donna di Montecorvino vicino Battipaglia (Sa) prima di tutto non sapeva che la perizia psichiatrica per lei non si era resa necessaria semplicemente perché il suo era un intervento richiesto su di un embrione e non perché si stimasse che questo una volta partorito a termine non avesse possibilità di vita autonoma. Questa donna non aveva capito che il suo non era un aborto terapeutico ed in ogni caso non aveva compreso che la “terapia” di questo tipo di interruzioni volontarie di gravidanza, non è volta a preservare il bambino da eventuali sofferenze in utero o fuori da esso. E in ospedale certo sia Voi del quinto piano che gli altri medici di tutto l’edificio, Vi siete guardati bene dal farglielo capire.
Ora il problema è che neanche quello che le aveva detto il suo ginecologo circa l’incompatibilità della patologia del figlio con la vita, corrisponde a verità. Certo, probabilmente varia da caso a caso, ma negli States circa sei anni fa è nata, ed è tutt’ora viva e…più o meno vegeta, una bambina con questa stessa patologia. Alla piccola Julianna Wetmore manca infatti il 30/40% delle ossa del volto; infatti è stata denominata “la bambina senza faccia”. Ha la bocca ma mancandole la mascella superiore non le serve ne per parlare ne per mangiare. Ha il naso o una specie, ma non le serve per avvertire gli odori. Ha degli abbozzi di orecchie e pertanto anche l’udito è compromesso. Vede, ma come vedrà dal momento che non avendo gli alloggiamenti degli alveoli per gli occhi essi sono posizionati un po’ obliqui in quello che dovrebbe essere un viso? Per il resto comunque Julianna, nutrita attraverso un buco alla gola tramite una sonda, è una bambina di intelligenza normale, cammina, gioca, va al mare ed a scuola e quest’anno è stata anche iscritta a danza. Certo il suo viso ha un aspetto mostruoso, ma ha 2 genitori ed una sorella di poco più grande che praticamente vivono per lei. Io non avrei mai avuto il coraggio di partorire una creatura così che all’età di 2 anni aveva già subito una quindicina dei 30 interventi affrontati finora, ma evidentemente a sua madre le sofferenze causate a sua figlia per le conseguenze del proprio egoismo (i genitori sono molto cattolici) non la fanno impazzire di dolore così come credo sarebbe stato per me se avessi deciso di mettere al Mondo una bambina che mai sarebbe cresciuta emotivamente, col rischio che avrebbe avuto di sopravvivermi in questo Mondo dove la vita è difficile per chiunque. Perciò mi chiedo: se Cristina, ugualmente molto cattolica (e contrarissima all’aborto volontario di per se) fosse venuta a conoscenza della storia di Julianna, affetta dalla stessa patologia di suo figlio, avrebbe comunque deciso di abortirlo? Cristina era anche alla sua prima gravidanza e perciò più motivata ad avere un figlio quale che fosse.
Ragionando per assurdo, perché la patologia di cui sopra è diagnosticabile dalle prime ecografie quando è ancora possibile avere un aborto su di un embrione, se tale aborto fosse stato fatto su di un feto e questo feto fosse sopravvissuto, Avrebbe considerato ugualmente legittimo praticargli la rianimazione forzata senza il consenso della madre (qualora fosse stata consciente delle reali possibilità di sopravvivenza del figlio partorito a termine)?
Non le sembra piuttosto che in entrambi i casi: il mio di rianimazione forzata senza il mio consenso su di un prodotto abortivo affetto dalla sindrome di down, e quello dell’inganno di cui è stata vittima Cristina così cattolica che altrimenti non avrebbe mai acconsentito ad abortire suo figlio destinato comunque a tante sofferenze, non Le pare che possano essere 2 casi speculari in cui è stato travisato del tutto lo spirito della 194 sull’aborto terapeutico? A chi è diretta in questi casi la “terapia”, a me che come madre ho più diritti rispetto al mio feto o embrione, o al bambino sulla cui sorte vogliono decidere gli altri, secondo le personali convinzioni, ginecologi o neonatologi che siano?
Mentre Le scrivo, mi è appena arrivata notificata nella posta elettronica, una mail inviatami da un utente di Facebook con il quale ieri sera ho avuto un’accesa discussione sull’aborto terapeutico. Lui ne è fortemente contrario, ed ecco perché; ho fatto per Lei il copia e incolla:

Ti racconto la mia esperienza: a mia figlia che oggi ha dodici anni furono diagnosticate diverse malformazioni per le quali fu consigliato a mia moglie la scelta dell' aborto ( mi avevano detto che non sarebbe sopravvissuta al parto ). Insieme abbiamo deciso di non farlo. Il percorso è stato difficile e continuerà ad esserlo: non le ho voluto negare il diritto di provare a vivere: oggi è felice e lo siamo anche io e mia moglie.

Una cosa gravissima nella vicenda di questo signore, come anche in quella di Cristina, è che Voi medici ben di rado spiegate per bene alle vostre pazienti come funziona la 194 per gli aborti dopo il 90° giorno, a meno che non abbiano già deciso di interrompere la loro gravidanza. Al signore di cui alla mail ho dovuto spiegare bene io, come funzioni la legge in questi casi e perché; anche lui credeva che l’aborto su di un feto non sano fosse “terapeutico” per evitargli di soffrire e giustamente si chiedeva da dove venissero i parametri per giudicare quale potesse essere la soglia di sofferenza da cui per legge fosse considerato giusto impedire la vita ad un essere umano. Questi parametri appartengono solo a noi donne; ognuna in rapporto al proprio figlio, alla propria storia. E nessuno dovrebbe mettere bocca nelle nostre decisioni, tanto poi la croce siamo sempre e solo noi a portarla.
Infine: Lei si lamentava del fatto che non ci siano più le femministe di una volta. Certo, rispetto agli anni ’70 qualcuna sarà morta; qualcun'altra starà aiutando la figlia a crescere i nipotini visto che dallo Stato aiuti per crescere i figli manco a parlarne, ma per il resto le femministe ci sono ancora e pure più toste di quelle di prima; chi manca all’appello sono prima di tutto una sinistra forte e soprattutto convinta di ciò che è, di quel che fa e perché lo fa, e poi, nella fattispecie della 194 a mancare sono i medici che ne hanno capito davvero lo spirito, il senso, per chi è stata creata e perché, e fra questi ginecologi che mancano all’appello metto anche Lei.

Ah dimenticavo, dal momento che nonostante l’ottimo lavoro svolto da 25 anni nel centro delle ivg, Lei non ha ancora capito cos’è l’aborto volontario, allora glielo spiego io: è una violenza: non solo sul prodotto del concepimento, ma prima di tutto sulla donna che sempre e comunque lo subisce, anche quando non ha fatto niente per evitarlo. Ad una donna vittima di una qualsiasi altra violenza viene offerta sempre un’assistenza psicologica; perché per una donna che abortisce questo non è previsto? Perché di lei si continua a pensare che se lo sia voluto, altrimenti sarebbe stata casta, sarebbe stata attenta, o più semplicemente sarebbe stata madre. Voi medici tenete in conto solo di salvaguardare la vita fisica delle donne, e quella psicologica? Non vale altrettanto?

GRAZIE AL PROVVEDIMENTO REGIONALE, IN PIEMONTE COSE COSI' NON ACCADONO PIU'

NOVARA 1998
"mi hanno lasciata sola in una camerata enorme, al buio, di notte, con la mia lucina e un crocifisso sulla parete di fronte...se chiamavo, nessuno arrivava..neanche un buscopan...pensavano fossi "una 194", invece io stavo in piena emorragia e perdevo quel che restava del mio piccolo al terzo mese...avevo l'intervento programmato per fare "pulizia", come dicevano " loro" , perché all'ultima eco la camera risultava ormai vuota...fino al giorno dopo non mi ha parlato nessuno. Poi mi hanno portata a fare un elettrocardiogramma e lì si sono accorti dell' "equivoco" e hanno provato a scusarsi..che bestie...dicendomi che pensavano fossi una 194...medici e infermieri, a minimizzare, a dire delle parole idiote, oscene...inutili"

mercoledì 3 giugno 2009

AIUTO PSICOLOGICO PRE E POST RICOVERO IN OSTETRICIA

Per chi si sottopone ad aborto terapeutico: prima del ricovero, al colloquio con lo psichiatra per riceverne la perizia, PRETENDERE (fatevi forti prima perchè dopo è più difficile) di essere spiegate a cosa si può andare incontro dal punto di vista psicologico, in seguito ad una interruzione di gravidanza, ed all'eventualità che il feto vi sopravviva, anche dal momento che per la legge italiana un feto abortito vivo si equivale ad un bambino nato a termine. Va quindi registrato all'anagrafe; per lui va scelto un nome, e successivamente in caso di decesso, va richiesto il certificato di morte. Altrimenti si può rendere adottabile il prodotto del concepimento firmando per questa opzione sulla propria (della madre) cartella clinica.

Per le donne che fanno richiesta per un una interruzione di gravidanza entro il novantesimo giorno, presso il proprio consultorio, chiedere un colloquio con la psicologa (sempre che non sia obiettrice...!) circa le conseguenze psicologiche cui si va incontro dopo una tale difficile decisione.

DOPO:
In un Paese civile e rispettoso nei confronti delle donne quale il Nostro non è, alla dimisione dal reparto di ostetricia, o lasciando il centro di Day hospital delle IVG, ogni donna dovrebbe ricevere quantomeno a voce un invito a recarsi presso il proprio consultorio di zona, o della zona dell'ospedale, per un colloquio psicologico qualora si presentassero sintomi di depressione, o particolare aggressività, senso di insoddisfazione etc. Nei casi in cui i sintomi dovessero essere più gravi: difficoltà seria a prendere sonno ed a mantenerlo,attacchi di panico etc.il medico che firma per la dimissione dovrebbe invitare in questo caso l'ex paziente a tornare nella struttura presso cui è stata ricoverata, per rivolgersi allo psichiatra preposto al reparto di ostetricia.

Poichè tutto ciò in Italia non è ancora attualizzabile, vi consiglio di provvedere da sole a rivolgervi alla psicologa del vostro consultorio di zona o allo psichiatra della struttura presso cui siete state ricoverate, a seconda dei sintomi riscontrati, consigliandovi comunque a prescindere, anche in maniera preventiva, almeno di scambiare quattro chiacchiere con la psicologa del consultorio, anche per vedere subito, con i medici dello stesso, se vi siano state delle adempienze durante la degenza e quello che si può fare per rimediarvi.

mercoledì 6 maggio 2009

A BOLOGNA, A CAUSA DEGLI OBIETTORI, QUALCHE ANNO FA....

"Mi hanno indotto il parto per 12 ore per poi essere lasciata sola al momento dell'espulsione del feto. MI HAN LASCIATO LA MIA BAMBINA IN MEZZO ALLE GAMBE E IN MEZZO AL SANGUE PER 4 ORE.. E NESSUNO SI E' DEGNATO DI VENIRE A VEDERMI.... e tutto perché PROBABILMENTE c'era qualche obiettore di coscienza tra le persone in turno."
Da un post pubblicato nel febbraio '08, in seguito alla vicenda della donna sospettata di aver effettuato a Napoli una IVG fuori dei termini di legge;
http://ilgraffio-balua.blogspot.com/2008/02/aborto.html
Foto presa qui: http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2007/12/17/eppure-sembrava-una-famiglia-normale

martedì 5 maggio 2009

UN SERVIZIO DISCRETO PRESSO L'OSPEDALE SAN FILIPPO NERI DI ROMA

"Io lavoro all'ospedale San Filippo Neri di Roma, dove vengono effettuate IVG sia per quanto riguarda le gravidanze entro il 90° giorno sia per quelle oltre.("terapeutiche" n.d.r.)
Nella mia struttura le prime vengono programmate ed effettuate in sala operatoria, e si risolvono con un raschiamento della cavità uterina; le seconde ("terapeutiche" n.d.r.)coinvolgono anche il personale ostetrico in quanto prevedono l'induzione del travaglio e quindi del parto con possibilità di praticare una anestesia peridurale la quale è condizionata anche essa dalla presenza di un anestesista non obiettore (abbiamo solo 2 anestesisti non obiettori nella mia struttura.) Nel mio ospedale esiste un Day Hospital che è preposto alle IVG soprattutto per quanto riguarda i problemi di tipo burocratico.Il personale non obiettore è così suddiviso: 5 ginecologi su una ventina;
2 anestesisti su sei; 5 ostetriche su 10 turnanti, solo uno su 4 che fanno mattina fissa.
Una volta che la paziente viene ricoverata per sottoporsi ad una interuzione volontaria di gravidanza , viene gestita dal personale non obiettore di turno, sempre che sia presente, il quale mette una candeletta di cervidil, operazione che deve spesso essere ripetuta più volte a seconda della risposta della paziente.
Se di guardia c'è un medico non obiettore, la cosa va avanti, altrimenti il medico può lasciare il compito di mettere la candeletta ad un'ostetrica non obiettrice di turno. Se invece di guardia vi sono solo obiettori, la procedura si blocca e viene ripresa quando è presente il personae addetto.

Le pazienti sono sempre seguite dalle ostetriche, le quali si occupano anche dell'assistenza al parto, a meno che non siano obiettrici.
Un parente può essere presente durante il travaglio se questo avviene in Sala travaglio, compatibilmente alle esigenze di servizio, dal momento che la nostra struttura non prevede ambienti riservati ai travagli delle IVG oltre il 90° giorno, ma queste donne travagliano nella stessa stanza delle donne a termine, questo è un grosso disagio che spesso ci troviamo a dover affrontare e puoi capire da sola che siamo costrette ad invitare più volte i parenti ad uscire dalla stanza per poter visitare e seguire il travaglio anche delle altre.
Per questo, fino a che la donna non ha un travaglio ben avviato, la invitiamo a rimanere in camera, dove può ricevere tutte le visite che vuole e dove noi ci rechiamo più volte a controllare.
Quando il travaglio è ben avviato, si porta la paziente in sala travaglio dove possiamo controllarla più assiduamente. Questo ovviamente quando gli unici 3 letti che abbiamo non sono occupati da altre donne in travaglio a loro volta, di cui dobbiamo controllare il battito fetale su feti che non possiamo rischiare di perdere.
Questi sono i casi in cui la donna purtroppo, rischia di espellere il feto nel proprio letto.
Io personalmente preparo psicologicamente la donna a questa evenienza, che purtroppo non dipende da noi, ma dall'insufficienza della struttura, le dico di chiamare ogni qual volta senta aumentare il dolore o senta il desiderio di spinta, di mettersi a letto, suonare il campanello e di stare tranquilla perchè sarò da lei in un minuto. La invito inoltre a non farsi prendere dal panico se per caso dovesse succedere che sente qualcosa uscire dalla sua vagina, di stare calma e suonare il campanello.
Devo dire che in questo modo le donne si sentono assistite e rassicurate.
E quando capita l'espulsione in camera della paziente, siamo lì in un minuto.
Purtroppo, non tutti preparano psicologicamente le donne in questo modo, per cui la donna si sente abbandonata e ha paura.
Senza contare poi, che se in turno vi sono ostetriche obiettrici, la donna è lasciata a se stessa per tutto il periodo del travaglio e assistita dal medico o dall'ostetrica obiettrice solo durante il parto solo per lo stretto necessario.

Se il feto è vivo, si mette nella culletta termica e si aspetta che muoia, non capita quasi mai che il neonatologo decida di rianimare il feto, a meno che non è più grande del previsto e particolarmente reattivo, ma anche in questo caso, la scelta dipende dal libero agire del neonatologo in questione, le linee guida sono comunque quelle di accompagnare il feto ad una morte dignitosa, mettendolo semplicemente nella culla termica, coperto da un telino.

Per quanto riguarda il supporto psicologico, questo è possibile da parte di psichiatri che lavorano nella struttura.
Spero di essere stata esaustiva.
Ti saluto"
Testimonianza dell'ostetrica Alessandra Padiglione, ricavata con il suo consenso, da un messaggio privato nella mia posta su Facebook

sabato 18 aprile 2009

PISA: POCHI NON OBIETTORI MA MOLTA UMANITA'

"Anch'io ho avuto un aborto terapeutico quest'anno (2009 n.d.r.) alla 21 settimana di gestazione per trisomia 21, nell'ospedale di Pisa. Il mio bimbo è nato morto. Ho già avuto un'altra gravidanza andata a buon fine e questa volta avevo fatto la translucenza nucale e la probabilità di avere un feto affetto da trisomia 21 era di 1:2400. Sono stata indecisa se fare l'amniocentesi fino all'ultimo giorno e per fortuna ho seguito il consiglio di mio marito.
Anch'io sono stata affidata ad un ginecologo non obiettore
per abortire; l'ospedale è grande ma ci sono pochissimi ginecologi non obiettori. Cmq devo dire che l'esperienza dell'aborto terapeutico è traumatica perchè è un vero e proprio parto, ma l'accoglienza dei medici e personale paramedico non è stata malvagia.
Mi hanno dato una stanza in cui ero sola con le persone care, il tutto è avvenuto lì e poi immediatamente mi hanno addormentata e fatto il raschiamento.
Lo psicologo che ho incontrato prima dell'aborto mi ha consolata dicendomi che la scelta che stavo per compiere era difficile ma dovuta......mentre dopo non è stata prevista alcuna assistenza psicologica."

FONTE: riassunto di due mails rinvenute nella casella di posta al nickname Chiaranube, presso il forum di mamme sul sito www.alfemminile.com

domenica 12 aprile 2009

OSPEDALE DI VITERBO, SUCCURSALE DI RONCIGLIANO: OMISSIONE DI SOCCORSO PER GLI ABORTI AL PRIMO TRIMESTRE

Cara Laura,
intanto voglio specificare che il caso da me narrato è relativo ad un'igv nel I° trimestre, comunque, i fatti da me narrati si sono verificati nel febbraio 2009.
Ci tengo a testimoniare che quanto scritto nel comunicato (DONNA INFORMATA MEZZA SALVATA n.d.r.)è assolutamente vero! Confermo che la legge sull'interruzione di gravidanza viene calpestata regolarmente negli ospedali (pochi) che la applicano. In particolare presso l'ospadala di Viterbo, nella sua succursale di Ronciglione si pratica una vera e propria carneficina sul corpo delle donne di tutte le età e le razze che vi si recano per l'Ivg: niente anestesia, se non all'ultimo momento, quando la donna ha sofferto tutti gli effetti devastanti e dolorossissimi causati dall'ovulo che viene inserito senza rispettare i tempi (vomito, dolori al ventre e emorragia) e abbiamo forti dubbi che quando infine la donna sotto anenstesia viene portata in sala operatoria i medici, invece di fare la dovuta aspirazione, gioghino a briscola... il risultato è che ti mandano a casa e l'emorragia con conseguenti dolori prosegue per settimane. Da una ecografia fatta a distanza di pochi giorni è risultato che non c'era traccia di aspirazione...
Cari saluti, Katia

TESTIMONIANZA RINVENUTA SUL MIO GRUPPO SU FACEBOOK

mercoledì 8 aprile 2009

LETTERA AD UN MEDICO DI BASE, OBIETTORE DI COSCIENZA

Gentile Dottore,
noto con delusione che Lei purtroppo, come molti della Sua generazione e confessione, continuano a considerare l’interruzione volontaria di gravidanza come una vergogna e non invece come uno dei diritti per l’autodeterminazione della donna, quale invece è.
Lei mi dirà che questo suo atteggiamento verso il più triste dei diritti di noi donne è dovuto al fatto che Ella lo disapprova totalmente in tutti i suoi aspetti. Mi piacerebbe sapere allora che cosa è disposto a fare Lei come medico , nonché come uomo, nel rispetto delle leggi vigenti, per evitare che i suoi pazienti vadano incontro a quel che Lei continua a ritenere una piaga sociale. La tanto criticata 194 contiene già in se tutte le indicazioni per prevenire ciò che essa permette solo per evitare una tragedia peggiore; l’aborto clandestino, pericoloso per la vita delle donne, che molto spesso sono già madri di altri figli che vivono con lei in circostanze già difficili di per se. Quest’anno quasi ogni volta che ciascuno di noi suoi pazienti entravamo dalla porta del Suo studio, ci veniva consegnato un modulo da firmare atto alla tutela della nostra privacy; sarebbe disposto a fare qualcosa di simile, paziente per paziente, indirizzando tutti i maggiori di 18 anni, (giusto perché altrimenti i loro genitori potrebbero protestare) non solo quelli non sposati o molto giovani, verso il proprio consultorio di zona per farsi spiegare quanto siano fallaci i metodi contraccettivi “naturali”, anche se molto avvallati dalla chiesa? Potrebbe spiegare alle donne gravide che passano per il Suo studio che i metodi diagnostici precoci, insieme agli aborti terapeutici servono ad evitare la messa al Mondo di creature simili alla piccola Juliana Wetmore? Sarebbe disposto quindi ad indirizzare anche queste ultime verso il proprio consultorio di zona perché le possano spiegare la differenza fra un’interruzione di gravidanza al primo trimestre ed una alla seconda?
Se si ritiene disposto a fare tutto ciò, vorrà dire che individuando in Lei il mio medico di base, ho fatto la scelta giusta; altrimenti significherà che continuerò a rivolgermi a Lei solo giusto perché abitiamo vicini.
N.B. L'amore si fa in due; ma perchè siamo sempre noi donne a pagarne le conseguenze?
In fede
Vostra paziente (che ha perso la pazienza con gli obiettori che obiettando sulle altrui coscienze ostacolano la corretta applicazione di una legge dello Stato atta a salvaguardare la salute fisica e psichica delle donne)

martedì 7 aprile 2009

I VIAGGI PER L'ABORTO IN SVIZZERA

«È il fallimento della nostra politica di prevenzione»
«Una donna su tre è italiana»
Su 682 aborti eseguiti nel 2008, più di 200 sono stati richiesti da italiane. Picco di interventi in Canton Ticino

MILANO - È italiana quasi una donna su tre, di quelle che hanno interrotto la gravidanza in Ticino lo scorso anno. A lan­ciare l’allarme sul «turismo abortivo» in Svizzera è stato Carlo Luigi Caimi, avvocato e deputato del Gran Consiglio per il Ppd (la corrente dei de­mocristiani), che giovedì scor­so ha presentato una interpel­lanza al Consiglio di Stato de­nunciando il totale fallimento della politica di prevenzione del Cantone. I dati sono stati elaborati dal­l’Ufficio statistica e dall’Ufficio del medico cantonale. Nel 2008 in Ticino sono stati fatti 682 aborti, con un incremento dell’11,25% rispetto all’anno precedente (la tendenza italia­na è -3,9%). Nel 33 per cento dei casi le donne erano residen­ti «all’estero».

Quelle che vive­vano nel nostro Paese erano 221. Ancora più nel dettaglio: 206 proprio di nazionalità ita­liana, le altre cinque straniere. Cinque anni prima, nel 2003, il «turismo» aveva interessato 78 donne. «Queste cifre ci colpiscono e non potevamo osservarle in si­lenzio. Sul fenomeno abbiamo avanzato diverse ipotesi: uno dei problemi è dato dalla Ru486, che in Italia o non c’è o se ne fa un uso molto limitato. Gioca poi a nostro vantaggio il di­scorso della privacy, ri­gorosissimo. A questo aggiungiamo l’efficien­za del sistema sanita­rio e la quasi totale mancanza di tempi di attesa». L’avvocato Ca­imi legge così le stati­stiche che ha anticipa­to nella sua interroga­zione parlamentare. La voce «pillola abortiva», dunque, è la più im­portante nella scelta di andare nel Canton Ticino. Stando alle ultime statistiche, l’interruzio­ne delle italiane è stata farma­cologica in 180 casi, chirurgica in 25, e in uno ha richiesto en­trambi i metodi. La fascia di età coinvolta va dai 25 ai 29 an­ni in misura più larga (106), poi dai 30 ai 34 (novantadue) e dai 35 ai 39 (settantotto).

Silvio Viale, il ginecologo del Sant’Anna di Torino che da anni si batte per introdurre nel nostro Paese il farmaco aborti­vo, sulla materia ha molte cose da dire. «Il fenomeno del turi­smo non è nuovo. Molte pie­montesi si spostano in Fran­cia, così come le liguri. Per la Svizzera ero rimasto fermo ai Cantoni tedeschi. Chi si muo­ve, trova comunque una rete di assistenza al suo rientro, ga­rantita magari dallo stesso me­dico che ha suggerito il viag­gio ». Chi sono queste donne? «Persone che trovano le infor­mazioni su Internet. Che prefe­riscono spendere da 400 a 600 euro oltre confine piuttosto che fare le code nei nostri con­sultori, dove c’è sempre qual­cuno che ti può riconoscere o ricordarsi di te. E poi sono don­ne che non vogliono rischiare la corsa contro il tempo dei po­chi ospedali che oggi importa­no l’Ru486. Dal momento della richiesta alla Francia, in gene­re, passano 4-5 giorni: basta un imprevisto per far saltare l’aborto con la pillola». L’argomento della discrezio­ne è quello che convince di più Basilio Tiso, direttore sanitario della clinica milanese Mangia­galli, dove negli ultimi mesi i tempi di attesa si sono allunga­ti da 7 a dodici giorni a causa dell’aumento delle richieste. Commenta: «In quei numeri ci vedo semplicemente la voglia di abortire lontano da casa, di nascosto». Ancora, nel 2009.

Elvira Serra FONTE
07 aprile 2009

sabato 28 marzo 2009

DOCUMENTO DEL PROF. FLAMIGNI SULL'ASSISTENZA ANCHE POST OPERATORIA A CHI SI SOTTOPONE AD IVG NEL II TRIMESTRE

LA MIA CORRISPONDENZA CON IL PROF. CARLO FLAMIGNI

Gentile professor Flamigni, vorrei sapere cosa si intende per "assistenza attenta e competente, anche nel periodo post operatorio" circa le donne (che ne fanno richiesta) che si sottopongono ad IVG nel II trimestre di gestazione.

Le pongo questa domanda perché nei tre fogli che ho dovuto firmare per sottopormi all'IVG alla ventunesima settimana, non vi era traccia di questa possibilità, ma apprendendo in quel momento il fatto che mia figlia sarebbe potuta essere abortita viva (come infatti è stato) se mi fosse stata prospettata la possibilità di ricevere "assistenza attenta e competente, anche nel periodo post operatorio" non avrei certo esitato a farne richiesta.

Oltretutto io non ho ricevuto un'assistenza attenta e competente, neanche in sede di aborto, perché a causa della carenza di personale non obiettore nella struttura a cui mi sono rivolta per interrompere la mia gravidanza, ho cominciato l'induzione al travaglio in sotto l'attenta supervisione di personale preparato, nel reparto delle IVG, ma quando alle tredici tale reparto ha chiuso, per mancanza di personale adeguato (al di fuori del ginecologo di turno quel giorno) mi sono ritrovata direttamente su di un lettino da parto, a continuare l'inserimento di candelette di prostaglandine, fra personale disattento, e senza la possibilità di ricevere assistenza e conforto dai parenti. Questo perché nella struttura ospedaliera più grande, della grande città del sud dove è avvenuto ciò, non è permesso ai parenti delle pazienti di avere accesso alle sale travaglio e parto. Quando poi il ginecologo non obiettore ha terminato il turno, ho dovuto cominciare e proseguire con il travaglio ed il parto sotto la supervisione di medici e paramedici obiettori. Non è certo colpa dell'ospedale se nella mia città come altrove ci sono talmente pochi non obiettori da non riuscire ad assicurare alle pazienti di poter completare l'aborto sempre in presenza di personale adeguato, ma dal momento che ciò inevitabilmente accade, noi donne che ci sottoponiamo ad IVG del II trimestre, stando a ciò che lei stesso asserisce nel suo documento sull'Interruzione volontaria della gravidanza" non dovremmo avere diritto almeno alla presenza dei parenti nelle sale parto e travaglio? Secondo lei potrei essere in diritto (e vincere la causa) di denunciare l'ospedale per tale negligenza? E per la mancata segnalazione della possibilità di ricevere a richiesta attenta e competente anche nel periodo post operatorio? Non lo farei per soldi (quale cifra potrebbe ripagarmi dei dieci mesi di terapia psichiatrica trascorsi fra un estate a base di sedativi, ed un autunno ed un inverno con antidepressivi?) ma solo nella speranza di poter evitare ad altre donne nelle mie condizioni, di subire la disattenzione ed il travaglio psicologico da me sofferto.
In attesa di cortese riscontro le invio cordiali saluti

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"Complessivamente, gli interventi di interruzione di gravidanza al II trimestre, sono molto traumatici – sia sul piano fisico che su quello psicologico – e le donne che ne fanno richiesta hanno bisogno di un’assistenza attenta e competente anche nel periodo post operatorio." Dal documento "Interruzione volontaria di gravidanza" presente nel sito del professore membro della commissione etica, CARLO FLAMIGNI

RISPOSTA
Gentile signora
l'assistenza competente e attenta della quale lei parla è l'assistenza che qualsiasi ospedale è tenuto a fornire a qualsiasi paziente in qualsiasi circostanza clinica, nè più nè meno. Le ragioni per le quali un paziente o una paziente possono non ricevere l'assistenza alla quale hanno diritto sono quasi sempre legate alla forza maggiore o a una colpevole disattenzione; nella fattispecie, trattandosi di una interruzione di gravidanza, le ragioni - non giustificabili, naturalmente - sono spesso dovute a carenza di personale. Questa anomalia è di responsabilità dell direttore sanirario, del primario e del presidente dell'azienda ospedaliera nella grande maggioranza dei casi.Questo è il rusiltato della lettura del libri di medicina legale, non è una mia opinione personale. Nel suo caso, si tratta però di un problema che sembra sfuggire al loro controllo perchè come Lei stessa ha potuto constatare il problema principale dell'applicazione della legge 194 riguarda l'obiezione di coscienza, che aveva ragione di esistere al tempo dell'approvazione della legge ma che ora dovrebbe essere abolita. Con questo Governo e questa maggioranza, così sensibili ai voleri Vaticani, difficilmente si potrà ottenere qualcosa in questo senso- Penso poi che le Sue probabilità di vincere una causa e di far prevalere le Sue ragioni siano pressochè inesistenti. La giurisprudenza su questo argomento è confusa e comunque non è il mio mestiere occuparmene, non sono un medico legale. Ora, se vuole intentare causa all'ospedale, consulti un legale, non vedo come potrei aiutarla. Se invece vuole farne un problema politico, si unisca a me in questa lotta contro l'obiezione.
Auguri
Carlo Flamigni

giovedì 26 marzo 2009

ABORTIRE AL QUINTO MESE AL SAN MARTINO ED AL GASLINI DI GENOVA

L'episodio risale a prima del 2004. Ho conosciuto questa ragazza al Gaslini dove era ricoverata per fare l'amniocentesi perchè nella precedente gravidanza le era stata diagnosticata una malattia genetica e aveva praticato l'aborto terapeutico appunto al 5° mese all'ospedale San martino di Genova.
Era talmente traumatizzata... aveva partorito da sola, subito dopo il parto l'avevano lasciata sola senza nemmeno andare a vedere come stava per ore, ai parenti non avevano dato notizie di lei... so che poi lei voleva vedere/seppellire il feto.... ma di questo feto se ne sono perse le tracce, nessuno ha più saputo cosa ne avessero fatto ed infatti era in causa con l'ospedale proprio per questo motivo.
Io al Gaslini sono stata ricoverata più di un mese e purtroppo di cose ne ho viste, ma so che alle donne che abortivano davano la camera migliore dell'ospedale, senza compagne di stanza ma comunque seguite dal personale e dai medici. (...)
Credo che quello che stai facendo sia una cosa utile e mi spiace molto per quello che hai passato. Ciao ______(26/03/09)
FONTE: messaggio inviato in forma privata all'autrice del blog.

martedì 24 marzo 2009

INTERRUZIONI VOLONTARIE DI GRAVIDANZA: L'ESEMPIO DEL PIEMONTE

INTERVISTE RILASCIATE NEL 2008
"La soluzione? - Pretendere che i nuovi assunti non siano obiettori - spiega il dottor Francesco Leone, responsabile del servizio di interruzione volontaria di gravidanza (del Secondo Policlinico di Napoli n.d.r.)
FONTE articolo di Laura Eudati
Qualcosa di simile fu fatta in Piemonte, ed infatti nell'ospedale San Lorenzo di Carmagnola (To) per eliminare la sofferenza (fisica..) da un aborto terapeutico con travaglio, impiegano antidolorifici e su richiesta l'epidurale!!! Anche se rallenta il travaglio, ma in altri ospedali l'epidurale le partorienti se la sognano....

"Da una parte lo scarso numero di medici non obiettori, dall´altra la carenza di presidi: di chi la responsabilità dello sfascio? «Sono anni che i manager avrebbero dovuto darsi da fare», osserva Gasbarro,(direttore dell'ospedale La Schiana di Pozzuoli n.d.r.) «e istituire un numero congruo di Ivg nel settore pubblico per soddisfare le richieste. E invece, niente. La situazione è quasi quella di 20 anni fa. Io ho insistito per tre anni prima di ottenere il servizio».
Anche per sopperire alle carenze di personale (ginecologi, anestesisti e infermieri), Gasbarri ha una ricetta: «Dando per scontato che la maggioranza sia rappresentata da obiettori, basterebbe far ruotare quei pochi colleghi che non lo sono nei vari ospedali. O, anche, basterebbe assumere personale ad ore solo per le Ivg. In Piemonte si fa così da anni, come mai qui non è possibile?». Perché, come spiega la Papa, «accade spesso di ritrovarsi con medici che, assunti per le Ivg, dopo soli sei mesi diventano obiettori». FONTE

domenica 15 marzo 2009

OSPEDALE NIGUARDA (MI) DURANTE UN ABORTO TERAPEUTICO NEGATA ASSISTENZA

FONTE: BLOG MILANO

"La risposta indecente è stata:
“Niente antidolorifico, sono obiettore”.”Mi spiace, sono un obiettore di coscienza, non posso farlo”
Un medico anestesista si è rifiutato di somministrare un antidolorifico a una giovane donna ricoverata per un aborto terapeutico.
Una giovane ucraina di 30 anni, in preda a dolori fortissimi, causati dai primi interventi per l´induzione dell´aborto terapeutico. L´antidolorifico in questione non era una semplice pillola che qualsiasi medico avrebbe potuto dare alla donna: si trattava di un forte anestetico, la somministrazione compete appunto a un anestesista.

Pubblicato Giovedì 12 Febbraio 2009 alle 11:18 nella sezione Segnalazioni

Responses to “Niguarda, durante un aborto terapeutico negata assistenza”

KIRA84 SAYS:
FEBBRAIO 25TH, 2009 AT 14:13
Dopo aver letto le vostre terribili esperienze mi sale dentro una rabbia incontenibile.Anch’io purtroppo come voi ho subito il medesimo trattamento,al mio bimbo che ho da sempre voluto e desiderato più di ogni cosa nella mia vita,è stata diagnosticata la sindrome down,e alla 21 settimana ho praticato l’aborto terapeutico.Inutile che stia a raccontare i dettagli di quella mostruosa esperienza,ti lasciano li su quel lettino senza nessun tipo di assistenza morale e nessun tipo di antidolorifico.Sono stata in travaglio per tre giorni,il bambino non voleva staccarsi dal mio corpo e per tre giorni mi hanno somministrato medicinali che aumentavano i dolori per permettere all’utero di contrarsi.Mi ritrovo qui a scrivere e a piangere perchè ancora non riesco a prendere consapevolezza che il mio bambino non è più dentro di me e sono stata io ad ucciderlo.A questi signori,che scelgono nella vita di di fare i medici,gli infermieri e quant’altro,dovrebbero insegnare anche ad avere un pò di umanità e a ricordarsi quando si trovano per esempio di fronte a casi del genere,che davanti a loro c’è una donna che stà morendo insieme al suo bambino,e che l’aborto teraupeutico non và confuso con l’aborto volontario,c’è poco di volontario quando ti mettono davanti alla realtà che il bambino che stai per mettere al mondo è down o soffre di una grave malattia genetica o nascerà con gravi malformazioni."

IL MIO COMMENTO E':

Somministrare un antidolorifico ad una donna mentre sta abortendo volontariamente non significa affatto aiutarla ad abortire; agli obiettori dovrebbe essere vietato di obiettare sulle coscienze altrui con parole ed azioni. Lo Stato (con le nostre tasse di contribuenti) non dovrebbe essere tenuto a pagare stipendi (e ahimè pensioni) a medici e paramedici (anche e soprattutto PORTANTINI) quando le concezioni etico/ religiose di questi interferiscano pericolosamente con le situazioni lavorative in cui si ritrovano ad operare.

sabato 14 marzo 2009

ANTALGICI PER LE INTERRUZIONI DI GRAVIDANZA IN ITALIA: OSPEDALE SAN LORENZO DI CARMAGNOLA (TO)

SEGNALAZIONE RIPORTATA DA QUESTO LINK

"Nella bruttissima esperienza che ho passato (IVG alla 19a) devo ammettere che l'ospedale (ospedale S.Lorenzo di Carmagnola - TO ) è stato una benedizione. emoticon:bacio Repartino piccolo, struttura nuovissima con camere da due e bagno privato e personale incredibilmente umano ed attento. (sono sempre stata in camera da sola emoticon:ok)

Il 6/02 sono andata a fare gli esami per l'anestesia (urine, sangue, ecg etc) e il giorno del ricovero, lunedì 09/02/09, ho parlato con l'anestesista, che dati gli esami buoni mi ha confermato la possibilità di una terapia antalgica, con due opportunità:
1. flebo di antidolorifico
2. se il dolore è particolarmente forte, catetere epidurale. Unica controindicazione era che avrebbe rallentato un po' le contrazioni, quindi allungato lo strazio.

Al momento del travaglio, sopraggiunto dopo 5 ovuli di prostaglandine emoticon:x: , ho iniziato ad avere veramente male. Le flebo del primo antidolorifico somministratomi hanno funzionato per un po' (sono persino riuscita ad avere una sorta di sonno indotto), ma poi le contrazioni sono aumentate ed hanno dovuto cambiare farmaco, sempre in flebo, che ha funzionato egregiamente emoticon:ok . Ho evitato l'epidurale, ma avessi voluto, me l'avrebbero fatta senza problemi.

Durante tutto il travaglio l'ostetrica mi è sempre stata vicina, passando a trovarmi ogni 5-10 minuti. Un angelo. emoticon:cuore

Per ulteriori informazioni, (sull'ospedale n.d.r.).)cliccare (sul link alla pagina segnalata all'inizio del post. n.d.r.)

Il tutto, non dimentichiamoci, a spese del SSN! emoticon:sorrisoo"

ANTIDOLORIFICI E INIEZIONE INTRACARDIACA AL FETO X LE IVG IN ITALIA: BUZZI DI MILANO

SEGNALAZIONE RINVENUTA A QUESTO LINK

Fino a 2 anni fa, come si legge dalla testimonianza che segue, all'ospedale Buzzi di Milano, si praticava al feto un'iniezione per fermargli il cuore prima di cominciare la stimolazione per l'induzione al travaglio. Con la morte del dottor Nicolini che sovrintendeva alle interruzioni di gravidanza volontarie del suddetto ospedale, questa procedura è stata interrotta.

"chi si trova in questa penosa situazione, sappia che p.es. al Buzzi di Milano ti fanno sì l'iniezione intracardiaca al feto per non rischiare di partorirlo vivo come in altri posti invece ancora accade emoticon:bomba arrabbiata, ma alla mamma solo iniezioni di antidolorifici ogni 3 ore se vuoi (nella cui somministrazione sono devo dire solleciti), che però non servono quasi a nulla; scordatevi l'epidurale, (...) all'estero...spiace doverlo dire ma lì hanno cura della partoriente molto più che da noi...con me (al Buzzi n.d.r.)sono stati sufficientemente carini,(...)

se invece avete notizie di ospedali che offrono in Italia l'epidurale per ivg, segnalatelo, perchè ricordo a tutte che da noi l'ivg è UN PARTO INDOTTO (su cui già di solito non offrono l'epidurale, figuriamoci se è un'ivg...)

grazie a tutte coloro che trovano la forza di condividere informazioni preziose qui..."

venerdì 13 marzo 2009

OBIETTORI: SE LI CONOSCI LI EVITI!!!

ECCOVI UNA LETTERA INVIATA SATAMANE: CHI SA SE SERVIRA' MAI A QUALCOSA..

Gentile dott. ------,
Le scrivo per portarle all'attenzione un episodio inerente alla mia interruzione di gravidanza avvenuta presso ----------, del quale non credo sia al corrente.
Sono una donna che si è sottoposta recentemente, presso il centro di IVG , da Lei diretto, ad un aborto terapeutico alla 21settimana. Poiché purtroppo, come da Lei paventato, il prodotto abortivo è stato espulso vivo, un'infermiera (forse la caposala)con i capelli biondo "menopausa" e gli occhiali, presente nella mattinata di sabato 8 giugno '08, alla domanda postagli da mia madre circa quando sarei potuta essere dimessa dall'ospedale, rispose che non avrei potuto lasciare la struttura prima di effettuare la registrazione anagrafica della nascita del neonato. Mia madre ebbe prima la prontezza di risponderle che in quel caso si sarebbe trattato di sequestro di persona e poi, dopo che un Suo collega ginecologo (obiettore) con i capelli tutti bianchi e gli occhiali tutti neri, il dott.------- le disse "pesa quasi mezzo chilo, si rende conto che potrebbe sopravvivere?!" avvertì di ciò il Suo collega (obiettore) del reparto Emergenze Ostetriche e Ginecologiche, Dott.------- per segnalargli questo abuso. Il medico protagonista di questo episodio fu quindi richiamato all'ordine, ma non so se poi furono presi ulteriori provvedimenti.

Ho deciso di raccontarLe questo episodio perché da ciò che ho letto di recente in una lettera inviata al quotidiano --------- da una paziente in condizioni sanitarie simili alle mie, ho appreso che qui in Italia si continuano a torturare psicologicamente persone già provate abbastanza dalla vita.
Sperando di non averLe sottratto troppo tempo al Suo già duro lavoro, La saluto cordialmente.

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P.S. Il dottore in questione, anche durante il mio travaglio, si è reso protagonista di un'altro episodio ben poco gratificante; tuttavia ritenendo che le denunce giudiziarie, le lettere ai giornali, e le testimonianze pubblicate in rete lascino il tempo che trovino, ho deciso di lasciar correre, tanto niente sarebbe servito a restituirmi la serenità di un tempo. Ma per le altre donne che si verranno a trovare ad affrontare un travaglio soprattutto psicologico, possiamo fare ancora qualcosa?

mercoledì 11 marzo 2009

ABORTO TERAPEUTICO IN UN PAESE CIVILE

RIPORTO QUI DAL SITO: ABORTO TERAPEUTICO DALL'ESPERIENZA DI UNA DONNA ANGLOSASSONE, L'ESEMPIO DI COME VIENE GESTITO IN UN PAESE CIVILE, UN ABORTO NEL SECONDO TRIMESTRE DI GRAVIDANZA .

DIARIO DI UN ABORTO
Da “repubblica delle donne” del 6/9/03.

Una donna si accorge che il bambino che aspetta è affetto dalla sindrome di Down. E decide di interrompere la gravidanza, alla ventitreesima settimana di gestazione. Ecco il suo racconto, dalla prima ecografia sospetta al doloroso ritorno alla vita di ogni giorno.


Il 18 gennaio mio figlio è nato morto, dopo 23 settimane di gestazione. Era minuscolo, perfettamente formato e affetto dalla sindrome di Down. La decisione di interrompere la gravidanza l’abbiamo presa io e il mio compagno, insieme. Il nostro incubo è iniziato quando mi sono sotto posta alla classica ecografia, alla ventesima settimana di gravidanza. (...)Finalmente il medico ha terminato l’esame, e mi ha spiegato che alcune misure del bambino erano decisamente inferiori alla media. E poi c’erano due puntini sul cuore, due “deboli segnali” della sindrome di Down. Mi hanno dato un opuscolo e consigliato di ripresentarmi dopo quattro giorni per un consulto.Sono uscita dall’ospedale sotto choc. Mio figlio poteva avere la sindrome di Down. O perlomeno un disturbo cardiaco. Tutti i miei progetti iniziavano a crollare. L’asilo nido che avevo scelto per il mio primogenito di due anni, il congedo di maternità, i lettini a castello, le vacanze estive adatte a un neonato. Una a volta tanto che, nella mia vita, avevo provato a organizzarmi…….Elliot ha passato il fine settimana cercando di convincermi che sarebbe andato tutto bene. E il piccino scalciava con tanta forza che ho iniziato a crederci anch’io. La mia pancia cresceva e mi sentivo benone. Se non fosse stato per quei dubbi laceranti e persistenti.

Poi è arrivato il fatidico lunedì e io e Elliot siamo andati in ospedale.

Il medico ci ha subito rassicurati: avrebbe ripetuto l’esame ed era sicuro che sarebbe risultato tutto a posto. (...)Ma l’esame ha rilevato altri punti sul cuoricino e le misurazioni di qualche giorno prima sono state confermate. C’era motivo di preoccuparsi. Nonostante tutto, però, il medico riteneva che sarebbe andato tutto a posto. Ci ha consigliato subito un’amniocentesi, per escludere eventuali problemi cromosomici. Non avevo mai pensato di sottopormi a un’amniocentesi. Ero giovane, non credevo mi sarebbe servita.Se me l’avessero proposta prima, sono sicura che ne avrei discusso per ore, prima di prendere una decisione. Invece nel giro di dieci minuti mi sono ritrovata distesa su un lettino, in attesa. Nessuna discussione, nessuna riflessione. L’avrei fatta e basta. Ho provato una sensazione orribile. Tutti i miei istinti concorrevano a proteggermi la pancia, eppure ho permesso a qualcuno di bucarmela con un grosso ago. Ho dovuto farmi forza per non strapparmelo via con violenza. Non mi sembrava giusto. I risultati vengono comunicati poco alla volta. Il primo, quello che ti dice se tuo figlio è affetto dalla sindrome di Down, è pronto dopo soli tre giorni; eventuali altri problemi cromosomici non possono essere esclusi prima di tre settimane. Così siamo tornati a casa: io mi sono messa a riposo, per scongiurare un eventuale aborto, mentre Elliot cercava di rincuorare entrambi. (...)Il terzo giorno abbiamo ricevuto una telefonata. Ero seduta sul divano e stavo lavorando. Samuel era al nido e Elliot in bagno. Era un altro medico, che mi ha detto: “temo di avere brutte notizie. Vostro figlio è affetto dalla sindrome di Down”. Non so come, sono riuscita ad alzarmi per raggiungere il bagno e dare la notizia ad Elliot. Dovevamo correre subito in ospedale. Sono crollata. (...)Sono riuscita a dirlo a mia madre, che si è subito offerta di venire in ospedale con noi. Appena arrivati, ci hanno mostrato una stanzetta. Ho subito notato la scatola di fazzoletti sul tavolo: non era un buon segno. Il medico ci ha mostrato la lettera con l’esito degli esami. C’era scritto davvero “sindrome di Down”.

Era tutto vero. Il medico ci ha spiegato che era solo una questione di sfortuna perché, per quanto ne sapevano, non c’era nulla di genetico. Poi ci ha detto che cosa avrebbe significato per il bambino. Aspettativa di vita: 30 o 40 anni. Non sarebbe mai stato in grado di badare a se stesso. Probabilmente avrebbe sempre avuto problemi di salute. Poi ha passato a spiegarci che cosa avrebbe significato per Samuel, che fino a quel momento era stato un bambino sanoe felice: con un fratellino così, la sua infanzia sarebbe stata completamente stravolta. Anche io e Elliot avremmo avuto una vita molto diversa rispetto a quella che ci eravamo sempre immaginati.

Ho capito subito qual’era la decisione giusta da prendere. E davo per scontato che Elliot sarebbe stato d’accordo con me.

Dovevamo interrompere la gravidanza. (...)Non avevo pensato ai meccanismi legati all’interruzione di una gravidanza già così avanzata, ma pensavo si trattasse si un intervento. Mi avrebbero fatto l’anestesia e al risveglio non sarei più stata incinta. Invece no. Avrei dovuto prendere alcune pastiglie, sotto la supervisione di un’infermiera. Poi, tre giorni dopo, avrei dovuto andare in sala parto, la stessa dove sarei dovuta entrare dopo due mesi e mezzo. E lì avrei fatto nascere il mio bambino. Obbligarmi a mandar giù quell’orrenda pastiglia è stata la cosa più difficile che mi sia mai capitata di fare. (...) Ho mandato giù quella malefica compressa e siamo tornati a casa , facendo una lunga passeggiata. Il bambino scalciava felice, senza sapere che cosa gli avevo fatto. L’estremo tradimento. Non so come abbiamo fatto a trascinarci per i due giorni seguenti. Era come se io e Ellit ci trovassimo in una specie di limbo. Non riuscivamo a parlare di quello che stava accadendo. Non potevamo dire di aver perso il bambino perché era ancora dentro di me che scalciava, ma non potevamo neppure fingere che andasse tutto bene. Ci siamo rintanati in casa. Cercavo di non stare seduta immobile troppo tempo, per non rendermi conto dell’esserino che portavo in grembo. Le notti, poi, erano impossibili. Parlavamo fino all’alba, guardando qualsiasi schifezza alla tv. Per tutto il tempo nostro figlio ha continuato ad agitarsi, e io mi sentivo come un’assassina in attesa di sferrare il colpo mortale. Avevo sempre considerato i calci da dentro la pancia come una delle emozioni più forti mai sperimentate. In quei giorni, invece, ogni movimento equivaleva a una tortura.Il potere a nostra disposizione ci stava facendo impazzire. Elliot e io potevamo decidere di non far vivere quella creatura. Gli stavamo negando il diritto alla vita. Era una facoltà troppo grande per noi, non ce la facevamo.

Chi non sapeva quello che stava succedendo davvero era sicuro che stessimo facendo la cosa più giusta.

(...) Stavamo risparmiando dolore e sofferenza a mio figlio. L’aborto avrebbe comunque evitato una tragedia peggiore. Sarebbe stato un duro colpo per me ed Elliot, nient’altro. Ma era davvero la scelta giusta? Non avevo nessun indizio. Per cinque mesi il mio corpo aveva saputo che c’era qualcosa che non andava, eppure mi ero sempre sentita benissimo: non ero più tanto sicura di potermi fidare del mio istinto. Sapevo solo che mi sentivo da cani. Poi è arrivato Sabato. Mia madre si è presentata prestissimo per prendersi cura di Samuele io ed Elliot abbiamo preso un taxi per andare in ospedale. Mentre entravo in sala parto, speravo di incontrare qualcuno che mi dicesse: “ Torna a casa sei in anticipo di sedici settimane”. Ma nessuno mi ha detto niente. Invece, un’ostetrica ci ha accompagnati in una stanza poco lontano dalla sala parto e ci ha spiegato quello che sarebbe successo. La poveretta aveva le lacrime agli occhi e io mi sentivo responsabile. Poco dopo è entrato il ginecologo con le compresse che avrebbero indotto il parto. Mi ha poi elencato i diversi tipi di antidolorifici che avrei potuto scegliere; ho optato per una flebo di morfina.

E così è iniziato il giorno più assurdo della mia vita. Le contrazioni sono incominciate quasi subito e nel giro di un’ora mi si sono rotte le acque.

Speravamo che tutto si risolvesse alla svelta ma di fatto ho dovuto aspettare altre 11 ore prima che il bambino nascesse. So che avrei potuto partorire in un quarto del tempo, ma non sopportavo l’idea che il suo corpo abbandonasse il mio. Non riuscivo a spingere. Per quanto doloroso e traumatico fosse il parto, sarebbe stato sempre meglio di quello che mi aspettava dopo. Così sono rimasta a letto, con Elliot accanto a me. Si sono succedute tre ostetriche e con ognuna di loro ho parlato delle stesse cose. Dovevamo decidere che cosa fare del corpicino subito dopo il parto. Sia io che il mio compagno eravamo convinti che sarebbe stata una buona idea trarre qualcosa di positiva da un’esperienza così traumatica, magari usando il corpo per scopi scientifici. Ma nessuno di noi riusciva a esprimere apertamente questo concetto. Non ce la facevamo a usare quei termini.

(...)Alle sette di sera non avevo ancora partorito. Dopo un po’ l’ostetrica ha sussurrato dolcemente:”credo che a questo punto dovremmo far nascere il bambino”. Sapevo di non avere via di scampo. Ci sono voluti 20 minuti per spingerlo fuori, e per tutto quel tempo io ed Elliot non abbiamo fatto altro che piangere, senza riuscire a controllarci. (...)

Più tardi ho visto e stretto il bambino tra le braccia. Elliot ci teneva molto. Io non sapevo più che cosa fosse giusto o sbagliato e gli ho dato retta.

Ora ringrazio Dio di averlo fatto. Il nostro bambino era bellissimo. Assomigliava tantissimo a Samuel da piccolo.Gli ho subito voluto bene e non avrei più voluto lasciarlo. Siamo tornati a casa un paio d’ore più tardi. A pensarci adesso, non so come abbiamo fatto. Probabilmente la morfina mi ha facilitato il compito. Le settimane successive sono state molto strane. Abbiamo fatto cremare il piccolo. Non c’era nessuno e non abbiamo avuto alcuna funzione. Abbiamo disperso le sue ceneri su alcuni bucaneve. All’inizio, ho dovuto fare i conti con le implicazioni legate al parto. Mi era arrivato persino il latte, che è sembrato durare un’eternità. In realtà, se n’è andato due settimane dopo la cremazione. Un altro crudele scherzo del destino. Adesso sto scendendo a patti con quello che mi è capitato. Mi sento solo molto sfortunata. Provo un odio profondo per le donne incinte e un grande rispetto per le coppie sterili. Per loro la vita in questo nostro mondo, deve essere insopportabile. Basta guardarsi in giro, e non vedi altro che future madri. Felici e contente. E’ impossibile sfuggire loro, e ognuna sembra voler sottolineare la tua perdita.

(...)Mi sono accorta che essere una brava persona è un lusso che non tutti possono permettersi. Che puoi essere buona e generosa solo se sei felice. Non è possibile essere profondamente infelice e mostrarsi gentili con gli altri. Perché quando sei arrabbiata con il mondo, che ti ha costretto a subire una cosa del genere, inizi a odiare anche le persone che lo popolano. E tendi a dare a loro la colpa di tutto. La domanda:”perché proprio a me?”, ricorre spesso. Perché a me e non a te, brutto bastardo? Come ho già detto, in questo periodo non sono un granchè simpatica. Non mi sorprende che le persone non sappiamo come trattarmi.

Mi sono impegnata tantissimo nelle opere di beneficenza, soprattutto a favore dei bambini malati.

Non serve ad alleviare il senso di colpa, ma non saprei cos’altro fare. (...)

So che la ferita è ancora aperta. E so che non posso accelerare il processo di guarigione. Ma è brutto stare sempre così male.Vorrei solo tornare ad avere una vita normale. Non voglio essere etichettata come vittima. Voglio gioire ancora con mio figlio, senza alcuna riserva. Voglio smettere di avere incubi. Voglio tornare a essere felice, buona e gentile. E voglio rimanere di nuovo incinta.

(Testo raccolto da Rolph Gobits The Guardian)