sabato 28 marzo 2009

DOCUMENTO DEL PROF. FLAMIGNI SULL'ASSISTENZA ANCHE POST OPERATORIA A CHI SI SOTTOPONE AD IVG NEL II TRIMESTRE

LA MIA CORRISPONDENZA CON IL PROF. CARLO FLAMIGNI

Gentile professor Flamigni, vorrei sapere cosa si intende per "assistenza attenta e competente, anche nel periodo post operatorio" circa le donne (che ne fanno richiesta) che si sottopongono ad IVG nel II trimestre di gestazione.

Le pongo questa domanda perché nei tre fogli che ho dovuto firmare per sottopormi all'IVG alla ventunesima settimana, non vi era traccia di questa possibilità, ma apprendendo in quel momento il fatto che mia figlia sarebbe potuta essere abortita viva (come infatti è stato) se mi fosse stata prospettata la possibilità di ricevere "assistenza attenta e competente, anche nel periodo post operatorio" non avrei certo esitato a farne richiesta.

Oltretutto io non ho ricevuto un'assistenza attenta e competente, neanche in sede di aborto, perché a causa della carenza di personale non obiettore nella struttura a cui mi sono rivolta per interrompere la mia gravidanza, ho cominciato l'induzione al travaglio in sotto l'attenta supervisione di personale preparato, nel reparto delle IVG, ma quando alle tredici tale reparto ha chiuso, per mancanza di personale adeguato (al di fuori del ginecologo di turno quel giorno) mi sono ritrovata direttamente su di un lettino da parto, a continuare l'inserimento di candelette di prostaglandine, fra personale disattento, e senza la possibilità di ricevere assistenza e conforto dai parenti. Questo perché nella struttura ospedaliera più grande, della grande città del sud dove è avvenuto ciò, non è permesso ai parenti delle pazienti di avere accesso alle sale travaglio e parto. Quando poi il ginecologo non obiettore ha terminato il turno, ho dovuto cominciare e proseguire con il travaglio ed il parto sotto la supervisione di medici e paramedici obiettori. Non è certo colpa dell'ospedale se nella mia città come altrove ci sono talmente pochi non obiettori da non riuscire ad assicurare alle pazienti di poter completare l'aborto sempre in presenza di personale adeguato, ma dal momento che ciò inevitabilmente accade, noi donne che ci sottoponiamo ad IVG del II trimestre, stando a ciò che lei stesso asserisce nel suo documento sull'Interruzione volontaria della gravidanza" non dovremmo avere diritto almeno alla presenza dei parenti nelle sale parto e travaglio? Secondo lei potrei essere in diritto (e vincere la causa) di denunciare l'ospedale per tale negligenza? E per la mancata segnalazione della possibilità di ricevere a richiesta attenta e competente anche nel periodo post operatorio? Non lo farei per soldi (quale cifra potrebbe ripagarmi dei dieci mesi di terapia psichiatrica trascorsi fra un estate a base di sedativi, ed un autunno ed un inverno con antidepressivi?) ma solo nella speranza di poter evitare ad altre donne nelle mie condizioni, di subire la disattenzione ed il travaglio psicologico da me sofferto.
In attesa di cortese riscontro le invio cordiali saluti

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"Complessivamente, gli interventi di interruzione di gravidanza al II trimestre, sono molto traumatici – sia sul piano fisico che su quello psicologico – e le donne che ne fanno richiesta hanno bisogno di un’assistenza attenta e competente anche nel periodo post operatorio." Dal documento "Interruzione volontaria di gravidanza" presente nel sito del professore membro della commissione etica, CARLO FLAMIGNI

RISPOSTA
Gentile signora
l'assistenza competente e attenta della quale lei parla è l'assistenza che qualsiasi ospedale è tenuto a fornire a qualsiasi paziente in qualsiasi circostanza clinica, nè più nè meno. Le ragioni per le quali un paziente o una paziente possono non ricevere l'assistenza alla quale hanno diritto sono quasi sempre legate alla forza maggiore o a una colpevole disattenzione; nella fattispecie, trattandosi di una interruzione di gravidanza, le ragioni - non giustificabili, naturalmente - sono spesso dovute a carenza di personale. Questa anomalia è di responsabilità dell direttore sanirario, del primario e del presidente dell'azienda ospedaliera nella grande maggioranza dei casi.Questo è il rusiltato della lettura del libri di medicina legale, non è una mia opinione personale. Nel suo caso, si tratta però di un problema che sembra sfuggire al loro controllo perchè come Lei stessa ha potuto constatare il problema principale dell'applicazione della legge 194 riguarda l'obiezione di coscienza, che aveva ragione di esistere al tempo dell'approvazione della legge ma che ora dovrebbe essere abolita. Con questo Governo e questa maggioranza, così sensibili ai voleri Vaticani, difficilmente si potrà ottenere qualcosa in questo senso- Penso poi che le Sue probabilità di vincere una causa e di far prevalere le Sue ragioni siano pressochè inesistenti. La giurisprudenza su questo argomento è confusa e comunque non è il mio mestiere occuparmene, non sono un medico legale. Ora, se vuole intentare causa all'ospedale, consulti un legale, non vedo come potrei aiutarla. Se invece vuole farne un problema politico, si unisca a me in questa lotta contro l'obiezione.
Auguri
Carlo Flamigni

giovedì 26 marzo 2009

ABORTIRE AL QUINTO MESE AL SAN MARTINO ED AL GASLINI DI GENOVA

L'episodio risale a prima del 2004. Ho conosciuto questa ragazza al Gaslini dove era ricoverata per fare l'amniocentesi perchè nella precedente gravidanza le era stata diagnosticata una malattia genetica e aveva praticato l'aborto terapeutico appunto al 5° mese all'ospedale San martino di Genova.
Era talmente traumatizzata... aveva partorito da sola, subito dopo il parto l'avevano lasciata sola senza nemmeno andare a vedere come stava per ore, ai parenti non avevano dato notizie di lei... so che poi lei voleva vedere/seppellire il feto.... ma di questo feto se ne sono perse le tracce, nessuno ha più saputo cosa ne avessero fatto ed infatti era in causa con l'ospedale proprio per questo motivo.
Io al Gaslini sono stata ricoverata più di un mese e purtroppo di cose ne ho viste, ma so che alle donne che abortivano davano la camera migliore dell'ospedale, senza compagne di stanza ma comunque seguite dal personale e dai medici. (...)
Credo che quello che stai facendo sia una cosa utile e mi spiace molto per quello che hai passato. Ciao ______(26/03/09)
FONTE: messaggio inviato in forma privata all'autrice del blog.

martedì 24 marzo 2009

INTERRUZIONI VOLONTARIE DI GRAVIDANZA: L'ESEMPIO DEL PIEMONTE

INTERVISTE RILASCIATE NEL 2008
"La soluzione? - Pretendere che i nuovi assunti non siano obiettori - spiega il dottor Francesco Leone, responsabile del servizio di interruzione volontaria di gravidanza (del Secondo Policlinico di Napoli n.d.r.)
FONTE articolo di Laura Eudati
Qualcosa di simile fu fatta in Piemonte, ed infatti nell'ospedale San Lorenzo di Carmagnola (To) per eliminare la sofferenza (fisica..) da un aborto terapeutico con travaglio, impiegano antidolorifici e su richiesta l'epidurale!!! Anche se rallenta il travaglio, ma in altri ospedali l'epidurale le partorienti se la sognano....

"Da una parte lo scarso numero di medici non obiettori, dall´altra la carenza di presidi: di chi la responsabilità dello sfascio? «Sono anni che i manager avrebbero dovuto darsi da fare», osserva Gasbarro,(direttore dell'ospedale La Schiana di Pozzuoli n.d.r.) «e istituire un numero congruo di Ivg nel settore pubblico per soddisfare le richieste. E invece, niente. La situazione è quasi quella di 20 anni fa. Io ho insistito per tre anni prima di ottenere il servizio».
Anche per sopperire alle carenze di personale (ginecologi, anestesisti e infermieri), Gasbarri ha una ricetta: «Dando per scontato che la maggioranza sia rappresentata da obiettori, basterebbe far ruotare quei pochi colleghi che non lo sono nei vari ospedali. O, anche, basterebbe assumere personale ad ore solo per le Ivg. In Piemonte si fa così da anni, come mai qui non è possibile?». Perché, come spiega la Papa, «accade spesso di ritrovarsi con medici che, assunti per le Ivg, dopo soli sei mesi diventano obiettori». FONTE

domenica 15 marzo 2009

OSPEDALE NIGUARDA (MI) DURANTE UN ABORTO TERAPEUTICO NEGATA ASSISTENZA

FONTE: BLOG MILANO

"La risposta indecente è stata:
“Niente antidolorifico, sono obiettore”.”Mi spiace, sono un obiettore di coscienza, non posso farlo”
Un medico anestesista si è rifiutato di somministrare un antidolorifico a una giovane donna ricoverata per un aborto terapeutico.
Una giovane ucraina di 30 anni, in preda a dolori fortissimi, causati dai primi interventi per l´induzione dell´aborto terapeutico. L´antidolorifico in questione non era una semplice pillola che qualsiasi medico avrebbe potuto dare alla donna: si trattava di un forte anestetico, la somministrazione compete appunto a un anestesista.

Pubblicato Giovedì 12 Febbraio 2009 alle 11:18 nella sezione Segnalazioni

Responses to “Niguarda, durante un aborto terapeutico negata assistenza”

KIRA84 SAYS:
FEBBRAIO 25TH, 2009 AT 14:13
Dopo aver letto le vostre terribili esperienze mi sale dentro una rabbia incontenibile.Anch’io purtroppo come voi ho subito il medesimo trattamento,al mio bimbo che ho da sempre voluto e desiderato più di ogni cosa nella mia vita,è stata diagnosticata la sindrome down,e alla 21 settimana ho praticato l’aborto terapeutico.Inutile che stia a raccontare i dettagli di quella mostruosa esperienza,ti lasciano li su quel lettino senza nessun tipo di assistenza morale e nessun tipo di antidolorifico.Sono stata in travaglio per tre giorni,il bambino non voleva staccarsi dal mio corpo e per tre giorni mi hanno somministrato medicinali che aumentavano i dolori per permettere all’utero di contrarsi.Mi ritrovo qui a scrivere e a piangere perchè ancora non riesco a prendere consapevolezza che il mio bambino non è più dentro di me e sono stata io ad ucciderlo.A questi signori,che scelgono nella vita di di fare i medici,gli infermieri e quant’altro,dovrebbero insegnare anche ad avere un pò di umanità e a ricordarsi quando si trovano per esempio di fronte a casi del genere,che davanti a loro c’è una donna che stà morendo insieme al suo bambino,e che l’aborto teraupeutico non và confuso con l’aborto volontario,c’è poco di volontario quando ti mettono davanti alla realtà che il bambino che stai per mettere al mondo è down o soffre di una grave malattia genetica o nascerà con gravi malformazioni."

IL MIO COMMENTO E':

Somministrare un antidolorifico ad una donna mentre sta abortendo volontariamente non significa affatto aiutarla ad abortire; agli obiettori dovrebbe essere vietato di obiettare sulle coscienze altrui con parole ed azioni. Lo Stato (con le nostre tasse di contribuenti) non dovrebbe essere tenuto a pagare stipendi (e ahimè pensioni) a medici e paramedici (anche e soprattutto PORTANTINI) quando le concezioni etico/ religiose di questi interferiscano pericolosamente con le situazioni lavorative in cui si ritrovano ad operare.

sabato 14 marzo 2009

ANTALGICI PER LE INTERRUZIONI DI GRAVIDANZA IN ITALIA: OSPEDALE SAN LORENZO DI CARMAGNOLA (TO)

SEGNALAZIONE RIPORTATA DA QUESTO LINK

"Nella bruttissima esperienza che ho passato (IVG alla 19a) devo ammettere che l'ospedale (ospedale S.Lorenzo di Carmagnola - TO ) è stato una benedizione. emoticon:bacio Repartino piccolo, struttura nuovissima con camere da due e bagno privato e personale incredibilmente umano ed attento. (sono sempre stata in camera da sola emoticon:ok)

Il 6/02 sono andata a fare gli esami per l'anestesia (urine, sangue, ecg etc) e il giorno del ricovero, lunedì 09/02/09, ho parlato con l'anestesista, che dati gli esami buoni mi ha confermato la possibilità di una terapia antalgica, con due opportunità:
1. flebo di antidolorifico
2. se il dolore è particolarmente forte, catetere epidurale. Unica controindicazione era che avrebbe rallentato un po' le contrazioni, quindi allungato lo strazio.

Al momento del travaglio, sopraggiunto dopo 5 ovuli di prostaglandine emoticon:x: , ho iniziato ad avere veramente male. Le flebo del primo antidolorifico somministratomi hanno funzionato per un po' (sono persino riuscita ad avere una sorta di sonno indotto), ma poi le contrazioni sono aumentate ed hanno dovuto cambiare farmaco, sempre in flebo, che ha funzionato egregiamente emoticon:ok . Ho evitato l'epidurale, ma avessi voluto, me l'avrebbero fatta senza problemi.

Durante tutto il travaglio l'ostetrica mi è sempre stata vicina, passando a trovarmi ogni 5-10 minuti. Un angelo. emoticon:cuore

Per ulteriori informazioni, (sull'ospedale n.d.r.).)cliccare (sul link alla pagina segnalata all'inizio del post. n.d.r.)

Il tutto, non dimentichiamoci, a spese del SSN! emoticon:sorrisoo"

ANTIDOLORIFICI E INIEZIONE INTRACARDIACA AL FETO X LE IVG IN ITALIA: BUZZI DI MILANO

SEGNALAZIONE RINVENUTA A QUESTO LINK

Fino a 2 anni fa, come si legge dalla testimonianza che segue, all'ospedale Buzzi di Milano, si praticava al feto un'iniezione per fermargli il cuore prima di cominciare la stimolazione per l'induzione al travaglio. Con la morte del dottor Nicolini che sovrintendeva alle interruzioni di gravidanza volontarie del suddetto ospedale, questa procedura è stata interrotta.

"chi si trova in questa penosa situazione, sappia che p.es. al Buzzi di Milano ti fanno sì l'iniezione intracardiaca al feto per non rischiare di partorirlo vivo come in altri posti invece ancora accade emoticon:bomba arrabbiata, ma alla mamma solo iniezioni di antidolorifici ogni 3 ore se vuoi (nella cui somministrazione sono devo dire solleciti), che però non servono quasi a nulla; scordatevi l'epidurale, (...) all'estero...spiace doverlo dire ma lì hanno cura della partoriente molto più che da noi...con me (al Buzzi n.d.r.)sono stati sufficientemente carini,(...)

se invece avete notizie di ospedali che offrono in Italia l'epidurale per ivg, segnalatelo, perchè ricordo a tutte che da noi l'ivg è UN PARTO INDOTTO (su cui già di solito non offrono l'epidurale, figuriamoci se è un'ivg...)

grazie a tutte coloro che trovano la forza di condividere informazioni preziose qui..."

venerdì 13 marzo 2009

OBIETTORI: SE LI CONOSCI LI EVITI!!!

ECCOVI UNA LETTERA INVIATA SATAMANE: CHI SA SE SERVIRA' MAI A QUALCOSA..

Gentile dott. ------,
Le scrivo per portarle all'attenzione un episodio inerente alla mia interruzione di gravidanza avvenuta presso ----------, del quale non credo sia al corrente.
Sono una donna che si è sottoposta recentemente, presso il centro di IVG , da Lei diretto, ad un aborto terapeutico alla 21settimana. Poiché purtroppo, come da Lei paventato, il prodotto abortivo è stato espulso vivo, un'infermiera (forse la caposala)con i capelli biondo "menopausa" e gli occhiali, presente nella mattinata di sabato 8 giugno '08, alla domanda postagli da mia madre circa quando sarei potuta essere dimessa dall'ospedale, rispose che non avrei potuto lasciare la struttura prima di effettuare la registrazione anagrafica della nascita del neonato. Mia madre ebbe prima la prontezza di risponderle che in quel caso si sarebbe trattato di sequestro di persona e poi, dopo che un Suo collega ginecologo (obiettore) con i capelli tutti bianchi e gli occhiali tutti neri, il dott.------- le disse "pesa quasi mezzo chilo, si rende conto che potrebbe sopravvivere?!" avvertì di ciò il Suo collega (obiettore) del reparto Emergenze Ostetriche e Ginecologiche, Dott.------- per segnalargli questo abuso. Il medico protagonista di questo episodio fu quindi richiamato all'ordine, ma non so se poi furono presi ulteriori provvedimenti.

Ho deciso di raccontarLe questo episodio perché da ciò che ho letto di recente in una lettera inviata al quotidiano --------- da una paziente in condizioni sanitarie simili alle mie, ho appreso che qui in Italia si continuano a torturare psicologicamente persone già provate abbastanza dalla vita.
Sperando di non averLe sottratto troppo tempo al Suo già duro lavoro, La saluto cordialmente.

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P.S. Il dottore in questione, anche durante il mio travaglio, si è reso protagonista di un'altro episodio ben poco gratificante; tuttavia ritenendo che le denunce giudiziarie, le lettere ai giornali, e le testimonianze pubblicate in rete lascino il tempo che trovino, ho deciso di lasciar correre, tanto niente sarebbe servito a restituirmi la serenità di un tempo. Ma per le altre donne che si verranno a trovare ad affrontare un travaglio soprattutto psicologico, possiamo fare ancora qualcosa?

mercoledì 11 marzo 2009

ABORTO TERAPEUTICO IN UN PAESE CIVILE

RIPORTO QUI DAL SITO: ABORTO TERAPEUTICO DALL'ESPERIENZA DI UNA DONNA ANGLOSASSONE, L'ESEMPIO DI COME VIENE GESTITO IN UN PAESE CIVILE, UN ABORTO NEL SECONDO TRIMESTRE DI GRAVIDANZA .

DIARIO DI UN ABORTO
Da “repubblica delle donne” del 6/9/03.

Una donna si accorge che il bambino che aspetta è affetto dalla sindrome di Down. E decide di interrompere la gravidanza, alla ventitreesima settimana di gestazione. Ecco il suo racconto, dalla prima ecografia sospetta al doloroso ritorno alla vita di ogni giorno.


Il 18 gennaio mio figlio è nato morto, dopo 23 settimane di gestazione. Era minuscolo, perfettamente formato e affetto dalla sindrome di Down. La decisione di interrompere la gravidanza l’abbiamo presa io e il mio compagno, insieme. Il nostro incubo è iniziato quando mi sono sotto posta alla classica ecografia, alla ventesima settimana di gravidanza. (...)Finalmente il medico ha terminato l’esame, e mi ha spiegato che alcune misure del bambino erano decisamente inferiori alla media. E poi c’erano due puntini sul cuore, due “deboli segnali” della sindrome di Down. Mi hanno dato un opuscolo e consigliato di ripresentarmi dopo quattro giorni per un consulto.Sono uscita dall’ospedale sotto choc. Mio figlio poteva avere la sindrome di Down. O perlomeno un disturbo cardiaco. Tutti i miei progetti iniziavano a crollare. L’asilo nido che avevo scelto per il mio primogenito di due anni, il congedo di maternità, i lettini a castello, le vacanze estive adatte a un neonato. Una a volta tanto che, nella mia vita, avevo provato a organizzarmi…….Elliot ha passato il fine settimana cercando di convincermi che sarebbe andato tutto bene. E il piccino scalciava con tanta forza che ho iniziato a crederci anch’io. La mia pancia cresceva e mi sentivo benone. Se non fosse stato per quei dubbi laceranti e persistenti.

Poi è arrivato il fatidico lunedì e io e Elliot siamo andati in ospedale.

Il medico ci ha subito rassicurati: avrebbe ripetuto l’esame ed era sicuro che sarebbe risultato tutto a posto. (...)Ma l’esame ha rilevato altri punti sul cuoricino e le misurazioni di qualche giorno prima sono state confermate. C’era motivo di preoccuparsi. Nonostante tutto, però, il medico riteneva che sarebbe andato tutto a posto. Ci ha consigliato subito un’amniocentesi, per escludere eventuali problemi cromosomici. Non avevo mai pensato di sottopormi a un’amniocentesi. Ero giovane, non credevo mi sarebbe servita.Se me l’avessero proposta prima, sono sicura che ne avrei discusso per ore, prima di prendere una decisione. Invece nel giro di dieci minuti mi sono ritrovata distesa su un lettino, in attesa. Nessuna discussione, nessuna riflessione. L’avrei fatta e basta. Ho provato una sensazione orribile. Tutti i miei istinti concorrevano a proteggermi la pancia, eppure ho permesso a qualcuno di bucarmela con un grosso ago. Ho dovuto farmi forza per non strapparmelo via con violenza. Non mi sembrava giusto. I risultati vengono comunicati poco alla volta. Il primo, quello che ti dice se tuo figlio è affetto dalla sindrome di Down, è pronto dopo soli tre giorni; eventuali altri problemi cromosomici non possono essere esclusi prima di tre settimane. Così siamo tornati a casa: io mi sono messa a riposo, per scongiurare un eventuale aborto, mentre Elliot cercava di rincuorare entrambi. (...)Il terzo giorno abbiamo ricevuto una telefonata. Ero seduta sul divano e stavo lavorando. Samuel era al nido e Elliot in bagno. Era un altro medico, che mi ha detto: “temo di avere brutte notizie. Vostro figlio è affetto dalla sindrome di Down”. Non so come, sono riuscita ad alzarmi per raggiungere il bagno e dare la notizia ad Elliot. Dovevamo correre subito in ospedale. Sono crollata. (...)Sono riuscita a dirlo a mia madre, che si è subito offerta di venire in ospedale con noi. Appena arrivati, ci hanno mostrato una stanzetta. Ho subito notato la scatola di fazzoletti sul tavolo: non era un buon segno. Il medico ci ha mostrato la lettera con l’esito degli esami. C’era scritto davvero “sindrome di Down”.

Era tutto vero. Il medico ci ha spiegato che era solo una questione di sfortuna perché, per quanto ne sapevano, non c’era nulla di genetico. Poi ci ha detto che cosa avrebbe significato per il bambino. Aspettativa di vita: 30 o 40 anni. Non sarebbe mai stato in grado di badare a se stesso. Probabilmente avrebbe sempre avuto problemi di salute. Poi ha passato a spiegarci che cosa avrebbe significato per Samuel, che fino a quel momento era stato un bambino sanoe felice: con un fratellino così, la sua infanzia sarebbe stata completamente stravolta. Anche io e Elliot avremmo avuto una vita molto diversa rispetto a quella che ci eravamo sempre immaginati.

Ho capito subito qual’era la decisione giusta da prendere. E davo per scontato che Elliot sarebbe stato d’accordo con me.

Dovevamo interrompere la gravidanza. (...)Non avevo pensato ai meccanismi legati all’interruzione di una gravidanza già così avanzata, ma pensavo si trattasse si un intervento. Mi avrebbero fatto l’anestesia e al risveglio non sarei più stata incinta. Invece no. Avrei dovuto prendere alcune pastiglie, sotto la supervisione di un’infermiera. Poi, tre giorni dopo, avrei dovuto andare in sala parto, la stessa dove sarei dovuta entrare dopo due mesi e mezzo. E lì avrei fatto nascere il mio bambino. Obbligarmi a mandar giù quell’orrenda pastiglia è stata la cosa più difficile che mi sia mai capitata di fare. (...) Ho mandato giù quella malefica compressa e siamo tornati a casa , facendo una lunga passeggiata. Il bambino scalciava felice, senza sapere che cosa gli avevo fatto. L’estremo tradimento. Non so come abbiamo fatto a trascinarci per i due giorni seguenti. Era come se io e Ellit ci trovassimo in una specie di limbo. Non riuscivamo a parlare di quello che stava accadendo. Non potevamo dire di aver perso il bambino perché era ancora dentro di me che scalciava, ma non potevamo neppure fingere che andasse tutto bene. Ci siamo rintanati in casa. Cercavo di non stare seduta immobile troppo tempo, per non rendermi conto dell’esserino che portavo in grembo. Le notti, poi, erano impossibili. Parlavamo fino all’alba, guardando qualsiasi schifezza alla tv. Per tutto il tempo nostro figlio ha continuato ad agitarsi, e io mi sentivo come un’assassina in attesa di sferrare il colpo mortale. Avevo sempre considerato i calci da dentro la pancia come una delle emozioni più forti mai sperimentate. In quei giorni, invece, ogni movimento equivaleva a una tortura.Il potere a nostra disposizione ci stava facendo impazzire. Elliot e io potevamo decidere di non far vivere quella creatura. Gli stavamo negando il diritto alla vita. Era una facoltà troppo grande per noi, non ce la facevamo.

Chi non sapeva quello che stava succedendo davvero era sicuro che stessimo facendo la cosa più giusta.

(...) Stavamo risparmiando dolore e sofferenza a mio figlio. L’aborto avrebbe comunque evitato una tragedia peggiore. Sarebbe stato un duro colpo per me ed Elliot, nient’altro. Ma era davvero la scelta giusta? Non avevo nessun indizio. Per cinque mesi il mio corpo aveva saputo che c’era qualcosa che non andava, eppure mi ero sempre sentita benissimo: non ero più tanto sicura di potermi fidare del mio istinto. Sapevo solo che mi sentivo da cani. Poi è arrivato Sabato. Mia madre si è presentata prestissimo per prendersi cura di Samuele io ed Elliot abbiamo preso un taxi per andare in ospedale. Mentre entravo in sala parto, speravo di incontrare qualcuno che mi dicesse: “ Torna a casa sei in anticipo di sedici settimane”. Ma nessuno mi ha detto niente. Invece, un’ostetrica ci ha accompagnati in una stanza poco lontano dalla sala parto e ci ha spiegato quello che sarebbe successo. La poveretta aveva le lacrime agli occhi e io mi sentivo responsabile. Poco dopo è entrato il ginecologo con le compresse che avrebbero indotto il parto. Mi ha poi elencato i diversi tipi di antidolorifici che avrei potuto scegliere; ho optato per una flebo di morfina.

E così è iniziato il giorno più assurdo della mia vita. Le contrazioni sono incominciate quasi subito e nel giro di un’ora mi si sono rotte le acque.

Speravamo che tutto si risolvesse alla svelta ma di fatto ho dovuto aspettare altre 11 ore prima che il bambino nascesse. So che avrei potuto partorire in un quarto del tempo, ma non sopportavo l’idea che il suo corpo abbandonasse il mio. Non riuscivo a spingere. Per quanto doloroso e traumatico fosse il parto, sarebbe stato sempre meglio di quello che mi aspettava dopo. Così sono rimasta a letto, con Elliot accanto a me. Si sono succedute tre ostetriche e con ognuna di loro ho parlato delle stesse cose. Dovevamo decidere che cosa fare del corpicino subito dopo il parto. Sia io che il mio compagno eravamo convinti che sarebbe stata una buona idea trarre qualcosa di positiva da un’esperienza così traumatica, magari usando il corpo per scopi scientifici. Ma nessuno di noi riusciva a esprimere apertamente questo concetto. Non ce la facevamo a usare quei termini.

(...)Alle sette di sera non avevo ancora partorito. Dopo un po’ l’ostetrica ha sussurrato dolcemente:”credo che a questo punto dovremmo far nascere il bambino”. Sapevo di non avere via di scampo. Ci sono voluti 20 minuti per spingerlo fuori, e per tutto quel tempo io ed Elliot non abbiamo fatto altro che piangere, senza riuscire a controllarci. (...)

Più tardi ho visto e stretto il bambino tra le braccia. Elliot ci teneva molto. Io non sapevo più che cosa fosse giusto o sbagliato e gli ho dato retta.

Ora ringrazio Dio di averlo fatto. Il nostro bambino era bellissimo. Assomigliava tantissimo a Samuel da piccolo.Gli ho subito voluto bene e non avrei più voluto lasciarlo. Siamo tornati a casa un paio d’ore più tardi. A pensarci adesso, non so come abbiamo fatto. Probabilmente la morfina mi ha facilitato il compito. Le settimane successive sono state molto strane. Abbiamo fatto cremare il piccolo. Non c’era nessuno e non abbiamo avuto alcuna funzione. Abbiamo disperso le sue ceneri su alcuni bucaneve. All’inizio, ho dovuto fare i conti con le implicazioni legate al parto. Mi era arrivato persino il latte, che è sembrato durare un’eternità. In realtà, se n’è andato due settimane dopo la cremazione. Un altro crudele scherzo del destino. Adesso sto scendendo a patti con quello che mi è capitato. Mi sento solo molto sfortunata. Provo un odio profondo per le donne incinte e un grande rispetto per le coppie sterili. Per loro la vita in questo nostro mondo, deve essere insopportabile. Basta guardarsi in giro, e non vedi altro che future madri. Felici e contente. E’ impossibile sfuggire loro, e ognuna sembra voler sottolineare la tua perdita.

(...)Mi sono accorta che essere una brava persona è un lusso che non tutti possono permettersi. Che puoi essere buona e generosa solo se sei felice. Non è possibile essere profondamente infelice e mostrarsi gentili con gli altri. Perché quando sei arrabbiata con il mondo, che ti ha costretto a subire una cosa del genere, inizi a odiare anche le persone che lo popolano. E tendi a dare a loro la colpa di tutto. La domanda:”perché proprio a me?”, ricorre spesso. Perché a me e non a te, brutto bastardo? Come ho già detto, in questo periodo non sono un granchè simpatica. Non mi sorprende che le persone non sappiamo come trattarmi.

Mi sono impegnata tantissimo nelle opere di beneficenza, soprattutto a favore dei bambini malati.

Non serve ad alleviare il senso di colpa, ma non saprei cos’altro fare. (...)

So che la ferita è ancora aperta. E so che non posso accelerare il processo di guarigione. Ma è brutto stare sempre così male.Vorrei solo tornare ad avere una vita normale. Non voglio essere etichettata come vittima. Voglio gioire ancora con mio figlio, senza alcuna riserva. Voglio smettere di avere incubi. Voglio tornare a essere felice, buona e gentile. E voglio rimanere di nuovo incinta.

(Testo raccolto da Rolph Gobits The Guardian)