lunedì 15 giugno 2009

COME UN OSPEDALE PUO' STRAVOLGERE LO SPIRITO DELLA 194

Gentile professore,
vorrei riprendere con Lei un discorso interrotto sulla necessità della rianimazione forzata sui feti sopravvissuti ad un aborto, senza il consenso dei genitori.
Lei davvero crede che sia opportuno farla sempre e comunque, quale che sia stato il motivo che abbia indotto i genitori a prendere la dolorosa decisione di impedire la vita al proprio desiderato figlio?
Colgo l’occasione per parlarLe di un disgustoso inganno perpretato ai danni di un’altra donna ricoveratasi lo stesso giorno in cui venni ricoverata anch’io presso il centro da Lei diretto, per un aborto “terapeutico”.
Questa giovane donna che io avevo avuto modo di conoscere già durante i due giorni precedenti al nostro ricovero, durante gli accertamenti di rito, aveva preso la decisione di abortire un figlio allo stato embrionale affetto da una patologia che gli aveva impedito la formazione delle ossa della faccia. Il suo ginecologo le aveva detto che tale patologia era incompatibile con la vita e che oltretutto portando avanti la gravidanza il bambino avrebbe sofferto quando il liquido amniotico sarebbe entrato nel viso distruggendone i tessuti. Le risulta quest’ultima informazione?
Quando come ultima tappa ci recammo dallo psichiatra lei poi mi disse di non aver avuto bisogno della perizia psichiatrica per abortire in quanto la patologia del bambino che portava in grembo era incompatibile con la vita. Ed allora che l’avevano mandata a fare dallo psichiatra? Per ricevere una preparazione psicologica all’aborto, quale non fu giudicato opportuno fornire anche a me nonostante il mio, su di un feto, fosse più traumatico?
Riassumendo quindi Cristina, la giovane donna di Montecorvino vicino Battipaglia (Sa) prima di tutto non sapeva che la perizia psichiatrica per lei non si era resa necessaria semplicemente perché il suo era un intervento richiesto su di un embrione e non perché si stimasse che questo una volta partorito a termine non avesse possibilità di vita autonoma. Questa donna non aveva capito che il suo non era un aborto terapeutico ed in ogni caso non aveva compreso che la “terapia” di questo tipo di interruzioni volontarie di gravidanza, non è volta a preservare il bambino da eventuali sofferenze in utero o fuori da esso. E in ospedale certo sia Voi del quinto piano che gli altri medici di tutto l’edificio, Vi siete guardati bene dal farglielo capire.
Ora il problema è che neanche quello che le aveva detto il suo ginecologo circa l’incompatibilità della patologia del figlio con la vita, corrisponde a verità. Certo, probabilmente varia da caso a caso, ma negli States circa sei anni fa è nata, ed è tutt’ora viva e…più o meno vegeta, una bambina con questa stessa patologia. Alla piccola Julianna Wetmore manca infatti il 30/40% delle ossa del volto; infatti è stata denominata “la bambina senza faccia”. Ha la bocca ma mancandole la mascella superiore non le serve ne per parlare ne per mangiare. Ha il naso o una specie, ma non le serve per avvertire gli odori. Ha degli abbozzi di orecchie e pertanto anche l’udito è compromesso. Vede, ma come vedrà dal momento che non avendo gli alloggiamenti degli alveoli per gli occhi essi sono posizionati un po’ obliqui in quello che dovrebbe essere un viso? Per il resto comunque Julianna, nutrita attraverso un buco alla gola tramite una sonda, è una bambina di intelligenza normale, cammina, gioca, va al mare ed a scuola e quest’anno è stata anche iscritta a danza. Certo il suo viso ha un aspetto mostruoso, ma ha 2 genitori ed una sorella di poco più grande che praticamente vivono per lei. Io non avrei mai avuto il coraggio di partorire una creatura così che all’età di 2 anni aveva già subito una quindicina dei 30 interventi affrontati finora, ma evidentemente a sua madre le sofferenze causate a sua figlia per le conseguenze del proprio egoismo (i genitori sono molto cattolici) non la fanno impazzire di dolore così come credo sarebbe stato per me se avessi deciso di mettere al Mondo una bambina che mai sarebbe cresciuta emotivamente, col rischio che avrebbe avuto di sopravvivermi in questo Mondo dove la vita è difficile per chiunque. Perciò mi chiedo: se Cristina, ugualmente molto cattolica (e contrarissima all’aborto volontario di per se) fosse venuta a conoscenza della storia di Julianna, affetta dalla stessa patologia di suo figlio, avrebbe comunque deciso di abortirlo? Cristina era anche alla sua prima gravidanza e perciò più motivata ad avere un figlio quale che fosse.
Ragionando per assurdo, perché la patologia di cui sopra è diagnosticabile dalle prime ecografie quando è ancora possibile avere un aborto su di un embrione, se tale aborto fosse stato fatto su di un feto e questo feto fosse sopravvissuto, Avrebbe considerato ugualmente legittimo praticargli la rianimazione forzata senza il consenso della madre (qualora fosse stata consciente delle reali possibilità di sopravvivenza del figlio partorito a termine)?
Non le sembra piuttosto che in entrambi i casi: il mio di rianimazione forzata senza il mio consenso su di un prodotto abortivo affetto dalla sindrome di down, e quello dell’inganno di cui è stata vittima Cristina così cattolica che altrimenti non avrebbe mai acconsentito ad abortire suo figlio destinato comunque a tante sofferenze, non Le pare che possano essere 2 casi speculari in cui è stato travisato del tutto lo spirito della 194 sull’aborto terapeutico? A chi è diretta in questi casi la “terapia”, a me che come madre ho più diritti rispetto al mio feto o embrione, o al bambino sulla cui sorte vogliono decidere gli altri, secondo le personali convinzioni, ginecologi o neonatologi che siano?
Mentre Le scrivo, mi è appena arrivata notificata nella posta elettronica, una mail inviatami da un utente di Facebook con il quale ieri sera ho avuto un’accesa discussione sull’aborto terapeutico. Lui ne è fortemente contrario, ed ecco perché; ho fatto per Lei il copia e incolla:

Ti racconto la mia esperienza: a mia figlia che oggi ha dodici anni furono diagnosticate diverse malformazioni per le quali fu consigliato a mia moglie la scelta dell' aborto ( mi avevano detto che non sarebbe sopravvissuta al parto ). Insieme abbiamo deciso di non farlo. Il percorso è stato difficile e continuerà ad esserlo: non le ho voluto negare il diritto di provare a vivere: oggi è felice e lo siamo anche io e mia moglie.

Una cosa gravissima nella vicenda di questo signore, come anche in quella di Cristina, è che Voi medici ben di rado spiegate per bene alle vostre pazienti come funziona la 194 per gli aborti dopo il 90° giorno, a meno che non abbiano già deciso di interrompere la loro gravidanza. Al signore di cui alla mail ho dovuto spiegare bene io, come funzioni la legge in questi casi e perché; anche lui credeva che l’aborto su di un feto non sano fosse “terapeutico” per evitargli di soffrire e giustamente si chiedeva da dove venissero i parametri per giudicare quale potesse essere la soglia di sofferenza da cui per legge fosse considerato giusto impedire la vita ad un essere umano. Questi parametri appartengono solo a noi donne; ognuna in rapporto al proprio figlio, alla propria storia. E nessuno dovrebbe mettere bocca nelle nostre decisioni, tanto poi la croce siamo sempre e solo noi a portarla.
Infine: Lei si lamentava del fatto che non ci siano più le femministe di una volta. Certo, rispetto agli anni ’70 qualcuna sarà morta; qualcun'altra starà aiutando la figlia a crescere i nipotini visto che dallo Stato aiuti per crescere i figli manco a parlarne, ma per il resto le femministe ci sono ancora e pure più toste di quelle di prima; chi manca all’appello sono prima di tutto una sinistra forte e soprattutto convinta di ciò che è, di quel che fa e perché lo fa, e poi, nella fattispecie della 194 a mancare sono i medici che ne hanno capito davvero lo spirito, il senso, per chi è stata creata e perché, e fra questi ginecologi che mancano all’appello metto anche Lei.

Ah dimenticavo, dal momento che nonostante l’ottimo lavoro svolto da 25 anni nel centro delle ivg, Lei non ha ancora capito cos’è l’aborto volontario, allora glielo spiego io: è una violenza: non solo sul prodotto del concepimento, ma prima di tutto sulla donna che sempre e comunque lo subisce, anche quando non ha fatto niente per evitarlo. Ad una donna vittima di una qualsiasi altra violenza viene offerta sempre un’assistenza psicologica; perché per una donna che abortisce questo non è previsto? Perché di lei si continua a pensare che se lo sia voluto, altrimenti sarebbe stata casta, sarebbe stata attenta, o più semplicemente sarebbe stata madre. Voi medici tenete in conto solo di salvaguardare la vita fisica delle donne, e quella psicologica? Non vale altrettanto?

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